Viralità, integrazione e dialogo: comunicare nel 2016
La fine dell’anno è sempre un momento utile per fare qualche riflessione sui trend più interessanti del proprio settore. Senza la pretesa di essere esaustivo, vorrei chiudere un altro anno di questa rubrica con una breve sintesi di quelli che sono, secondo me, gli elementi di maggior rilievo che hanno contraddistinto il mondo della comunicazione nel 2016.
Attenzione alle bufale. Non è un caso che la parola dell’anno sia “post-verità”. Nell’era del web e delle informazioni a portata di click, sembra sempre più difficile stabilire in quali sedi e grazie a quali strumenti si può risalire alla verità. Il 2016 ha visto il trionfo di narrazioni della società e di posizioni politiche spesso sganciate dall’esigenza di verificare la veridicità di quanto viene affermato nel dibattito e questo, a lungo andare, rischia di creare confusione e smarrimento.
Un esempio tutto italiano è costituito da un articolo con una falsa dichiarazione del neo presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che ha totalizzato un impressionante record di condivisioni: oltre 15 mila in alcune ore. Possibile che tutti questi utenti abbiano dato per buona una frase approssimativa come «Gli italiani smettano di lamentarsi e facciano sacrifici»? Sì, perché forse si è perso quel senso di autorevolezza che dovrebbe distinguere un grande quotidiano da una pagina di fake news. La via di uscita potrebbe passare da un controllo più serrato “a monte” da parte degli stessi mezzi di informazione. In più, bisognerebbe fare di tutto per sensibilizzare maggiormente i nostri lettori a scorrere con un occhio critico la propria timeline su Facebook o Twitter, anche rendendo percepibile la differenza in termini di contenuto e completezza rispetto a una qualsiasi pagina web.
I social media come arena pubblica. I social network assorbono quote consistenti della nostra vita quotidiana e questa non è una novità del 2016. Se volgiamo lo sguardo all’anno che ci lasciamo alle spalle, non possiamo non citare lo sbarco su Telegram delle istituzioni italiane (persino il ministero dell’Economia e delle Finanze) e l’uso smodato di Twitter da parte dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, che ha sdoganato anche le dirette Facebook come canale di comunicazione diretta del governo con i cittadini. Il vero grande protagonista è però senza dubbio Snapchat. Un’applicazione che è cresciuta a ritmi vertiginosi, raggiungendo secondo gli ultimi dati oltre 670 mila utenti, di cui quasi la metà tra i 13 e i 17 anni. Facebook è ormai il social media per antonomasia per oltre 25 milioni di italiani e sicuramente il più trasversale e rodato, mentre Instagram conta su un bacino di oltre 8 milioni di appassionati. Più defilato Twitter che, con i suoi 6,4 milioni di utenti attivi (in flessione), si conferma un’arena virtuale in costante dialogo con la realtà. Non solo è diventata una prassi citare il tweet di un politico nel “pastone” di un telegiornale o addirittura annunciare provvedimenti legislativi con un cinguettio. Twitter si infiamma anche quando c’è da seguire in diretta un grande evento pubblico o da commentare, smartphone alla mano, il proprio programma televisivo preferito.
TV, voglia di informazione e di intrattenimento. La televisione, nell’era delle nuove piattaforme e della visione di serie tivù on demand, continua a mantenere un ruolo decisivo nella nostra vita. Ne consumiamo i contenuti tramite i siti web per riguardare un programma andato in onda in un altro orario, di cui potremmo aver seguito lo svolgimento grazie agli aggiornamenti live sui vari canali social. In più, formule vecchie e nuove continuano ad attirare l’attenzione degli spettatori: le maratone televisive di Enrico Mentana su La7 sono diventate un genere cult di “infotainment”, in cui la ricchezza degli approfondimenti si sposa con la verve inconfondibile del giornalista. Sul fronte del divertimento puro, un format tutto italiano come il programma Rai Casa Mika ha permesso a una eclettica popstar internazionale di rileggere lo spirito del varietà all’italiana in modo agile e frizzante. Per non parlare delle fiction, da I Medici a The Young Pope, che hanno confermato la capacità della televisione di diventare “fabbrica di sogni” e interprete della realtà con il linguaggio della finzione.
Politica, annullare le distanze. Nell’era dei populismi, anche la politica si pone con urgenza il problema di tornare a parlare un linguaggio comprensibile e in grado di creare relazioni di fiducia. Inutile, a mio avviso, rimpiangere i tempi in cui una prosa involuta era sinonimo di autorevolezza o pensare che il buon politico non debba perdere tempo per pianificare le proprie attività di comunicazione. Il successo di Donald Trump negli Stati Uniti e la diffusione, spesso rapidissima, di messaggi iper-semplificati e mobilitanti dovrebbe spingere tutti a sforzarsi di accorciare le distanze tra i temi che animano il Palazzo e la società. Ciò potrebbe avvenire recuperando la capacità di parlare un “linguaggio del bisogno” che non è necessariamente ammiccante o banale, ma in sintonia con il proprio pubblico e con i problemi riscontrati nella vita quotidiana.
Tre importanti lezioni. Se analizziamo il 2016 alla luce di questi semplici punti, potremmo ricavare tre indicazioni utili per noi comunicatori. Innanzitutto, cercare di posizionare la nostra azienda o il nostro ente quale un soggetto autorevole e trasparente, che fornisce informazioni verificate su di sé e sui propri obiettivi. In seconda battuta, puntare sempre su molteplici canali o su quello che ci sembra più adatto per diffondere un certo messaggio. In terzo luogo, sforzarsi di spezzare l’unidirezionalità della nostra comunicazione, interagendo costantemente con tutti gli stakeholder, facendo tesoro di eventuali feedback e attrezzandoci per eventuali imprevisti. Il 2017, ne sono certo, ci riserverà sicuramente molte sorprese!
La rubrica Spin Doctor torna a gennaio. Buone feste a tutti.