Terremoto digitale, così consulenza e pubblicità si riorganizzano
di Gianluca Comin
Terremoto digitale: mentre in Italia il dibattito pubblico veniva monopolizzato dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018, anche nel campo della pubblicità si è registrato un piccolo terremoto che segna un grande cambiamento in atto. Hanno fatto scalpore, infatti, le dichiarazioni con cui Sir Martin Sorrell, fondatore e Ceo del colosso pubblicitario Wpp, ha ammesso che il gruppo sta ripensando il suo business alla luce di una contrazione degli investimenti pubblicitari da parte delle grandi aziende e della pressione crescente dell’innovazione tecnologica.
Terremoto digitale: cambiamento che riguarda tutti
Il modello organizzativo immaginato da Sir Sorrell è all’insegna dell’orizzontalità: alcune aree del gruppo, come riportato anche dal Financial Times del 2 marzo, sono state fuse (le agenzie media Maxus e Mec e le società di Pr Burson-Marsteller e Cohn & Wolfe). Sarebbe però un errore pensare che solo Wpp sia alle prese con uno scenario in evoluzione. Quello che il mondo della pubblicità sta affrontando è un cambiamento epocale, un terremoto digitale, che ci riguarda tutti.
Modello arcaico da sconvolgere
Di solito siamo portati a pensare che solo il mondo dell’editoria sia stato messo a dura prova dall’avvento del digitale o che siano l’informazione e la politica i campi nei quali si gioca la partita per l’adozione di nuovi modelli comunicativi. In realtà, anche la pubblicità non è più quella di una volta: «Sconvolgiamo questo modello arcaico alla Mad Men ed eliminiamo i silos tra creativi, clienti e consumatori», ha commentato Marc Pritchard, il chief brand officer di Procter&Gamble, durante un recente convegno citato nello stesso articolo del Financial Times.
Il manager, che appartiene a uno dei più grandi clienti di Wpp, ha sottolineato l’importanza di valutare pro e contro di un eccessivo “outsourcing” ad agenzie esterne, una tendenza abituale per le aziende che da sempre dedicano budget sostanziosi alla pubblicità. A questo trend ha già reagito P&G rimodulando del 60% il numero di società esterne con le quali collabora e riducendo i costi di produzione e di agenzia di 750 milioni di dollari.
Google e Facebook piglia tutto
Se i clienti mettono un freno alle loro spese, è anche il modello consulenziale che viene loro offerto a esser oggetto di una riflessione da parte degli addetti ai lavori: sempre più spesso la mediazione delle agenzie tradizionali viene infatti saltata, osserva il Financial Times, dedicando ingenti risorse agli annunci pubblicitari online su grandi piattaforme piglia-tutto come Google e Facebook.
I social garantiscono efficacia
Sono inoltre aumentati i canali che possono essere utilizzati autonomamente a fini di marketing: pensiamo per esempio all’estrema facilità con cui gli account ufficiali dei brand sui social media (Twitter, Facebook, Instagram, Snapchat) vengono impiegati per veicolare a tamburo battente messaggi promozionali, con la garanzia di una maggiore efficacia per via della profilazione degli utenti.
Meno risorse, spalmate su canali diversi e con vari livelli (anche misurabili) di penetrazione assicurata. Da comunicatore professionista (ora in un’agenzia di consulenza) concordo sull’importanza di capire meglio cosa vogliono i mercati e i clienti, in modo da assicurarci di rispondere sempre meglio alle loro esigenze.
Valutare rapidamente il ritorno
Il freno agli investimenti può essere aggirato lavorando costantemente all’elaborazione e al fine-tuning di parametri che permettano a tutto il top management di un’azienda, sia a chi sceglie le strategie sia a chi gestisce il budget, di valutare in modo rapido ed efficace il ritorno. Non si tratta più solo di mettere in piedi campagne pubblicitarie o di invadere le pagine dei giornali o gli spazi di affissione delle grandi città con il nostro logo.
Aggressivi con il consumatore
Terremoto digitale: diventa fondamentale, prima della messa a terra di una campagna, promuovere una riflessione interna sugli obiettivi che intendiamo raggiungere e sui target che vogliamo sensibilizzare. Se il consumatore è al centro della nostra attenzione, dovremmo cercare di essere più aggressivi e di elaborare messaggi facilmente condivisibili, sia online sia offline.
Se invece abbiamo obiettivi di posizionamento più ambiziosi, possiamo permetterci uno stile più ricercato, che miri a incuriosire stakeholder selezionati o un pubblico specializzato. Per intenderci: incrementare la vendita di un nuovo prodotto ha bisogno di azioni pervasive e molto focalizzate sul web, raccontare a un’audience mirata il ruolo della nostra azienda per il Paese richiede uno sforzo di targettizzazione e può essere attuato con campagne informative sulla carta stampata, con piani di advocacy sui social media o con il sostegno visibile a iniziative culturali o di carattere scientifico.
Consapevolezza da acquisire
Pubblicità è soprattutto costruzione di un posizionamento che resta nel tempo. Quanti di noi associano automaticamente uno slogan o una campagna azzeccata a un grande brand? Quello che farà davvero la differenza sarà l’acquisizione di una nuova consapevolezza, sia interna sia esterna.
Registri linguistici differenti
In azienda, l’esigenza per chi si occupa di comunicazione e marketing di valorizzare sempre più la strategicità di ciò che si fa e il contributo creativo che un’agenzia può apportare. Nel rapporto con il pubblico (o meglio con i pubblici) l’abilità nell’utilizzare registri linguistici e comunicativi differenti, mixando i canali e “inseguendo” i nostri interlocutori sia nel web sia fuori.