Sono i lobbisti a volere più regole
di Gianluca Comin
Il rapporto tra decisori e portatori di interesse non è mai stato normato in modo completo. E a chiedere più chiarezza e trasparenza sono proprio gli addetti ai lavori.
Del rapporto fra decisori pubblici e portatori di interesse non finiamo mai di discutere. Ci sono due trend che vediamo riproporsi con continuità: una tendenza, tutta politica, a identificare il lobbista come un “intruso” del processo decisionale e la tentazione, da parte del circuito mediatico, di dipingere il fenomeno con toni volutamente scandalistici.
Da qui il tentativo, legittimo e giustificato, di difendere il valore della professione e di riabilitarne, almeno in parte, i rappresentanti.
Le giustificazioni da portare avanti sono molte e spesso ben argomentate: la necessità di garantire il pluralismo dei processi che sfociano in modifiche normative, il diritto di illustrare la posizione degli attori di un dato settore, chiarendo l’impatto di una nuova norma o mettendo in guardia da conseguenze indesiderate.
I lobbisti italiani non hanno però bisogno di avvocati difensori. Possono scegliere di lavorare all’insegna delle competenze e della correttezza, derubricando le critiche a semplici incidenti di percorso da affrontare con serenità.
Oppure possono decidere di invertire i ruoli, facendosi essi stessi promotori di una regolamentazione che risponda davvero al sacrosanto desiderio di garantire trasparenza e l’assenza di “zone grigie”.
I PASSI AVANTI DELLA POLITICA
Partiamo da un presupposto fondamentale. La volontà politica è stata in molti casi insufficiente per percorrere l’ultimo miglio tra proposta legislativa e legge.
I primi disegni di legge depositati in parlamento sul tema si ritrovano negli archivi degli Anni 70, mentre in anni più recenti le iniziative in ambito governativo sono riuscite con una certa difficoltà a diventare strutturali.
Se guardiamo agli ultimi esecutivi, per esempio, è stato il ministro per le Politiche agricole del governo Monti, Mario Catania, a inaugurare attività volte a tenere traccia degli incontri con portatori di interesse. Un esempio seguito nella legislatura successiva dal viceministro ai Trasporti Riccardo Nencini, che ha deciso di pubblicare l’agenda dei propri appuntamenti sulla pagina web del ministero.
Di registro vero e proprio, sul modello di quello in uso in altri contesti nazionali e a livello europeo, possiamo parlare nel caso del ministero dello Sviluppo economico e di quello della Funzione pubblica, che erano guidati rispettivamente da Carlo Calenda e Marianna Madia.
Un esempio che è stato seguito anche dalla Camera dei deputati dove, sotto la regia di Marina Sereni, si è dato il via nella scorsa legislatura a un registro dei rappresentanti di interesse che operano a Montecitorio.
UNA REGOLAMENTAZIONE REGIONALE A MACCHIA DI LEOPARDO
Questa rapida panoramica non può tralasciare i contesti regionali. Avere molte competenze ha portato i governi e i consigli regionali a rafforzare il loro ruolo, attivando contestualmente la necessità di un presidio strutturato di realtà rilevanti anche in termini di importanza per il business della propria azienda.
Un cambio di scenario, o meglio un’accelerazione, a cui possiamo guardare con favore, ma anche con un po’ di delusione. Al di là delle singole iniziative virtuose di alcuni enti, siamo davvero convinti che una regolamentazione a macchia di leopardo sia sufficiente a contrastare derive o forzature?
Per forza di cose, mettere un perimetro di gioco frammentario a un fenomeno che è di per sé imprevedibile e multiforme rischia di essere velleitario e fondamentalmente inutile.
Meglio sarebbe fare uno sforzo di più ampio respiro, identificare con chiarezza le sedi nelle quali avviene la rappresentanza di interessi e i canali attraverso cui si esplica. Conoscerne le dinamiche non significa scoperchiare un vaso di Pandora, quanto acquisire le necessarie informazioni per mettere a punto regole davvero efficaci.
LA RICHIESTA DI MAGGIOR CHIAREZZA ARRIVA DAI LOBBISTI
Le conclusioni, inaspettate per chi immagina il lobbista come un professionista specializzato nelle “zone d’ombra”, è che l’esigenza di maggior chiarezza arriva direttamente da coloro che fanno questo mestiere.
Se dovessimo elencare sinteticamente alcuni desideri, potremmo dire che una norma generale e uniforme è al primo posto della lista. È uno sforzo notevole per il legislatore, perché significa innanzitutto alzare lo sguardo oltre una ristretta enclave virtuosa la cui utilità sarebbe comunque limitata.
È una chiamata alla responsabilità, d’altro canto, per i lobbisti stessi e per le aziende e le organizzazioni complesse che ne richiedono il supporto.
Un modo per non eludere le accuse di chi ci dipinge negativamente a sfoghi di persone poco informate o in mala fede, ma piuttosto un tentativo, impegnativo e dall’esito incerto, per ristabilire un equilibrio fra le parti in causa.
Se rientra innegabilmente nella sfera del decisore pubblico la prerogativa di proporre e approvare le “regole del gioco” che disciplinano molti settori della nostra economia, è allo stesso tempo una necessità non aggirabile quella di portare alla sua attenzione le diverse sensibilità di chi quel gioco lo pratica ogni giorno, da professionista individuale o da impresa. Il discorso assume quindi tutt’altra focalizzazione. Non si tratta di auspicare, o temere, interventi censori o eccessivamente soffocanti. Quanto di guardare in modo diverso e autentico alle dinamiche che regolano la nostra democrazia, in un’ottica di collaborazione e di accountability.