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Reputazione Online: Quella Dei Ceo Influenza Il Successo Dell’azienda

Reputazione online: quella dei Ceo influenza il successo dell’azienda

Gli amministratori delegati in questione sono Richard Branson (Virgin), Marissa Meyer (Yahoo), Tim Cook (Apple), Bernard Arnault (LMVH), Satya Nadella (Microsoft), Marck Zuckerberg (Facebook), Larry Page, Erich Schmidt e Sergey Brin (Google), Michael O’Leary (Ryanair), Dietrich Mateschitz (Red Bull), Ferdinand Piech (Volskwagen) e Elon Musk (Tesla).
A fare da padrone di questa classifica è Mark Zuckerber, con il 38,2% del totale (328.868 menzioni).
Questo non significa che i commenti sul suo conto siano tutti positivi, anzi, ma semplicemente che il fondatore di Facebook è il Ceo che meglio di tutti è in grado di sfruttare (guarda caso!) i social media, di comunicare nella maniera più efficace e aggiustare in tempo il tiro delle proprie sparate online.
Il re dei social è seguito a distanza da Tim Cook (127.809 – 14,8%), che ha da poco dichiarato al mondo la propria omosessualità, mentre ha visto raddoppiare il valore della sua azienda (700 miliardi di dollari) da quando ha preso il posto di un mostro sacro come Steve Jobs.
SOCIAL POSSONO INFLUENZARE I RISULTATI DI UN’AZIENDA  Questi risultati sono un campanello d’allarme per i Ceo di tutto il mondo, perché nell’era della conoscenza (virale) e dei social media gli amministratori delegati vivono una sovraesposizione mediatica che può avere un’influenza diretta sui risultati dell’azienda di cui fanno parte.
Come afferma Don Sorensen, presidente di Big Blue Robot, «non c’è mai stato un momento più importante per i Ceo per gestire attivamente la propria reputazione online. Una buona reputazione è in grado di costruire un rapporto di fiducia con gli azionisti, i media e i clienti della propria azienda. All’opposto, una crisi personale o aziendale può far crollare inesorabilmente la loro reputazione online e senza una corretta gestione di quest’ultima, può essere impossibile recuperare».
Ho già parlato nella mia rubrica Spin Doctor di quanto la reputazione online dei vertici aziendali mai come oggi sia uno degli intangible assett più importanti per le aziende, tanto da far pensare che buona parte della brand equity sia costituita dall’immagine che i consumatori e gli investitori hanno dei capi delle aziende in questione.
Non è più sufficiente investire sulla corporate reputation, sulle attività di Csr o sulle iniziative di cause related marketing.
Si può avere il miglior prodotto sul mercato, il prezzo più competitivo o la tecnologia più evoluta: nulla di tutto ciò è al riparo dalle percezioni negative che scaturiscono da un errore del capo dell’azienda; un passo falso può intaccare inesorabilmente il valore del brand agli occhi dei propri stakeholders di riferimento.
UN PASSO FALSO DEL CEO PUÒ ROVINARE IL MERCATO.  Il questionario condotto da Weber Shandwick – The company behind the brand: in reputation we trust – ha analizzato le percezioni di consumatori e manager aziendali circa l’importanza delle figure apicali delle corporation per il valore delle aziende overall.
Il 50% degli executive interpellati afferma che la reputazione della propria azienda è in gran parte attribuibile a quella del Ceo che ne è a capo, mentre il 60% pensa che il valore di mercato dell’azienda per cui lavorano derivi dalla reputazione che questa riesce a crearsi negli anni.
Prendiamo per esempio il fondatore di Lululemon (abbigliamento per lo yoga) Chip Wilson, che era tanto popolare da esser diventato un vero e proprio fenomeno di culto. Fino a quando non ha dichiarato che il problema con i pantaloni della sua linea era il peso “eccessivo” delle sue clienti. In pochissimo tempo le azioni sono crollate e Wilson è ora in cerca di un altro lavoro.
Una sorte simile è capitata ad Abercrombie & Fitch, boicottata da più parti dopo l’uscita del libro Le nuove regole della vendita al dettaglio di Robin Lewis. Nell’opera l’autore ha rivelato come Abercrombie non voglia clienti grassi nei suoi negozi.
Rivelazione che fa il paio con quella del presidente e Amministratore delegato Mike Jeffrey, che nel 2006 dichiarò come «molte persone, semplicemente, non entrano nei nostri vestiti e non ci entreranno mai. Escludiamo della gente? Certamente».

Cinque motivi per curare la reputazione online

Cheryl Conner, in un articolo scritto per Forbes dal titotlo 5 New Reasons Ceos Should Maintain Stellar Online Reputation Management, spiega le cinque ragioni per le quali i Ceo dovrebbe prendersi cura pedissequamente della propria reputazione online:

 

1. PRODOTTO E REPUTAZIONE DEL CEO SONO CORRELATI. I consumatori sono profondamente influenzati dalla reputazione di un Ceo prima di procedere all’acquisto di un prodotto o di fare endorsement per un brand.

 

2. L’IMPORTANZA DI DIVENTARE TOUGH LEADER. La reputazione online di un amministratore delegato può aiutarlo a diventare un tough leader ed esperto del settore;

 

3. INVESTIMENTI DECISI IN BASE ALL’ATTIVITA ON E OFFLINE. Gli azionisti sono sempre più attenti alla reputazione on e offline degli amministratori delegati, e decidono i propri investimenti anche in base a queste percezioni;

 

4. I MEDIA INFLUENZATI DALL’ATTIVITÀ IN RETE. La reputazione di un Ceo influenza in maniera preponderante l’opinione dei giornalisti e di come i media lo descrivono.

 

5. L’USO DEI SOCIAL CONDIZIONA LE ASSUNZIONI. La ricerca online d’informazioni passate influisce prepotentemente sulle assunzioni future, anche per i capi aziendali.
Una citazione fin troppo abusata, ma che si adatta perfettamente alla situazione attuale, può aiutarci a tirare le fila di questo discorso.
Secondo il genio di Omaha, infatti, i vogliono vent’anni per costruire una reputazione e cinque minuti per rovinarla. Se pensi a questo, farai le cose in modo diverso. Verrebbe da dire che i Ceo di tutto il mondo sono avvisati, un piccolo errore di reputazione, una dichiarazione di troppo sui social network e saranno in grado di rovinare 20 anni di duro lavoro.

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