Non c’è futuro per le aziende senza cultura della sostenibilità
Le attività di corporate social responsibility sono ormai stabilmente inglobate nel perimetro di numerose aziende italiane e internazionali, tanto che l’idea stessa di “responsabilità” nei confronti dei contesti nei quali si opera sembra quasi un concetto da dare per scontato. Lo troviamo ripetuto nelle presentazioni corporate, nei siti aziendali, nei comunicati stampa, sui canali social. Un recente sondaggio realizzato dal gruppo PagineSì! su un campione di 500 clienti conferma che il 56% delle aziende intervistate sono impegnate in attività legate in qualche modo alla responsabilità sociale.
L’obbligo morale? Più di un costo. La ricerca evidenzia però un dato sorprendente: la maggior parte di queste imprese considera tali attività “improduttive”. Come se l’obbligo morale e la tensione etica fossero un mero “costo” da mettere in conto, senza ricadute significative sui bilanci aziendali. Eppure una cosa è certa: la responsabilità sociale accresce concretamente il valore di un business ed è anche in virtù di questo aspetto che deve essere caratteristica dominante delle attività d’impresa. L’esigenza di essere “responsabili” nei confronti del contesto sociale che ci circonda e delle persone che lavorano per la nostra azienda non nasce solo dalla “buona volontà” o del paternalismo di qualche manager illuminato, ma è uno degli elementi alla luce dei quali i consumatori (e tutti gli stakeholder) costruiscono la propria percezione.
Uno strumento di crescita. Nel momento in cui valutano l’acquisto di un prodotto o riflettono sull’opportunità di inviare un’application per una posizione lavorativa, i cittadini prestano sempre maggiore attenzione a temi come, per esempio, il rispetto per l’ambiente. Consapevoli dell’importanza dei 17 obiettivi fissati dall’Agenda 2030, il programma d’azione sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei Paesi membri dell’Onu. Di fronte a una platea di portatori di interesse che adottano prospettive così legate a valori universali come la sostenibilità e la giustizia sociale, è indispensabile adottare scelte strategiche che utilizzino la responsabilità sociale come uno strumento di crescita (non solo economica) e di coinvolgimento duraturo nel tempo.
I risultati del X Rapporto dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza, realizzato dall’istituto Demos & Pi di Ilvo Diamanti e dall’osservatorio di Pavia per la Fondazione Unipolis, evidenzia che le principali paure degli italiani coincidono proprio con i grandi temi al centro dell’Agenda 2030. Un esempio? Tra quelle di carattere generale, il 58% teme «la distruzione dell’ambiente e della natura», il 55% «l’inquinamento», mentre tra le insicurezze economiche la paura di «non avere o perdere la pensione» (38%) e la disoccupazione (37%) risultano essere prioritarie. In una fase storica contraddistinta dal lento riflusso di una dolorosa crisi economica di carattere globale, le imprese che vogliono parlare davvero alla società devono includere questi temi nelle loro strategie aziendali.
Il concetto obsoleto di creazione del valore. È vitale, quindi, distaccarsi una volta per tutte da un approccio obsoleto del concetto di creazione del valore, focalizzato sull’ottimizzazione delle performance finanziarie a breve termine e che mette in secondo piano esigenze non direttamente soddisfabili sul mercato. L’obiettivo dovrebbe essere quello della creazione del valore, passando dalla corporate social responsibility – impegno dell’impresa ad assumere un comportamento etico che tenga conto delle ripercussioni economiche, sociali e ambientali delle proprie azioni- al create shared value, inteso come costruzione di “valore condiviso”. Questo nuovo approccio ricollega il successo aziendale con il progresso sociale. È in questo contesto che acquista sempre più rilievo l’esigenza delle imprese di comunicare questi valori per diffondere sempre di più un’autentica cultura della sostenibilità. Una cultura che può rafforzarsi adottando linguaggi diversi sulla base dei target che si intende raggiungere e dei contesti nei quali la vogliamo diffondere.
Il 2017 come anno cruciale. È proprio per la crescente rilevanza del tema che l’Asvis (Alleanza per lo sviluppo sostenibile) ha deciso di creare il Festival Italiano per lo Sviluppo sostenibile, evento nazionale che ha l’obiettivo di promuovere strategie e politiche che realizzino i sustainable development goal. Il Festival, conclusosi lo scorso 7 giugno, ha coinvolto 160 tra organizzazioni e reti della società civile, in oltre 200 eventi svoltisi nell’arco di 17 giorni, proprio quanti sono gli obiettivi da realizzare entro il 2030. Il 2017 sarà, come ha dichiarato Enrico Giovannini, portavoce Asvis e già ministro del Lavoro, «l’anno cruciale per la diffusione della cultura dello sviluppo sostenibile in Italia e per decidere se l’Italia intende onorare gli impegni assunti in sede Onu e fare della sostenibilità economica, sociale e ambientale l’obiettivo imprescindibile del proprio futuro». Anche a partire dalle aziende.
* Twitter: @gcomin