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L’unione Di Pubblico E Privato Può Salvare La Cultura Italiana

L’unione di pubblico e privato può salvare la cultura italiana

Quando parliamo di impresa e cultura, o di gestione di un istituto o bene culturale, i luoghi comuni si sprecano: conflitto tra tutela, cioè conservazione, e valorizzazione, cioè fruizione del bene; estrema burocratizzazione della relazione; scarsità finanziaria; gestione rigida del personale e così dicendo. Tutte argomentazioni valide in un Paese dall’offerta culturale abbondante e diffusa.

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La cultura come la marmellata. Tuttavia ci sono eccezioni. Come quella presentata da Marina Valensise, direttrice fino all’estate 2016 dell’Istituto Italiano di Cultura a Parigi, che in un divertente e istruttivo libro ha raccontato una esperienza quadriennale di successo. Un manuale moderno della buona gestione delle relazioni. «Leggere questo rendiconto del mio viaggio nella pubblica amministrazione», scrive infatti la Valensise, «spero potrà servire a chi opera sui due versanti, quello pubblico e quello privato, superando la reciproca diffidenza e il doppio ostacolo che rischia di vanificare gli sforzi comuni: e cioè da un lato il sospetto che spesso paralizza la pubblica amministrazione nei confronti della proposta lanciata da un privato; dall’altro, l’eccesso di autoreferenza da parte del privato, che rischia di straripare rispetto all’interesse pubblico e alla naturale visione d’insieme dell’amministrazione. Intendiamoci, non si tratta di conciliare l’inconciliabile, ma di tentare di superare lo stallo che contrappone i fautori del mercato e della libertà di impresa ai custodi dell’ortodossia».

Una provocazione fondata su una solida case history. La cultura è come la marmellata. Come promuovere il patrimonio italiano con i privati, edito da Marsilio, è il titolo del libro, che prende spunto dallo slogan apparso sui muri della Sorbone nel maggio del 1968, «La cultura è come la marmellata: meno ne hai, più la spalmi» (o «più la metti in mostra», che è l’altro significato della parola francese ètale), intende evidenziare come l’Italia, nonostante sia il Paese con il patrimonio più ricco del mondo, risulti incapace di valorizzarlo. Una forte provocazione che si serve però di una case history di successo che merita attenzione.

L’esperienza di Marina Valensise all’Istituto italiano di Cultura di Parigi rappresenta infatti un esempio della capacità di costruire partnership durature con creativi, aziende e fornitori, mettendo in campo una “rete informale” tra istituzioni e sponsor, non codificata, ma mossa da un obiettivo comune. In questo caso, l’approccio manageriale è stato chiaro fin da subito nel modo di impostare la relazione professionale con gli artisti: l’istituzione finanzia l’opera e l’artista, dal canto suo, si impegna a pagare alla stessa i costi di produzione in caso di vendita.

Anticipare i trend graditi dal pubblico. Marina Valensise ha dimostrato che è necessario circondarsi di professionalità in grado di “parlare” di italianità con il giusto approccio e soprattutto essere anticipatori dei trend e di ciò che il pubblico apprezza. Nel 2012, ad esempio, in tempi in cui non era noto il fenomeno degli chef stellati, l’Istituto italiano di Cultura di Parigi ha collaborato con Gianfranco Vissani e Massimo Bottura, nominato nel 2016 come chef del miglior ristorante del mondo. O ancora l’architetto Mario Nanni, che nel 2015 ha curato lo spettacolo di light design durante l’inaugurazione del Palazzo della Civiltà Italiana per Fendi e ha “illuminato” il set di The Young Pope di Paolo Sorrentino.

Un cambio di prospettiva. Credo che l’esperienza maturata da Marina Valensise e raccontata nel suo libro, porti alla luce per le istituzioni italiane la necessità di passare da una logica del fund raising ad un modello di project financing, riconoscendo nell’impresa una fonte di energie non solo economiche. La raccolta di fondi può essere efficace solo se coinvolge le aziende attraverso collaborazioni aperte e flessibili, basate sulla condivisione di obiettivi e risultati, in una logica di progettazione partecipata (dalle linee guida fino alla realizzazione) e di rispetto delle specifiche prerogative. Non si esce dalla crisi e dalla situazione di stallo che colpisce, in particolare, settori come quello culturale, colpiti dai tagli lineari della spesa pubblica, se non facendo operare insieme pubblico, privato e privato sociale, in un sinergico gioco delle parti. Pubblico e privato, istituzioni e imprese, devono avere responsabilità congiunte nella valorizzazione del “sistema cultura”, anche se opportunamente distinte per competenze.

 

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