Legge sulle lobby, il tempo è ri-scaduto
A settembre 2014 ho parlato della necessità di mettere mano alla legge sulle lobby, augurandomi che il presidente del Consiglio Matteo Renzi riuscisse a cogliere quell’obiettivo già mancato dai suoi predecessori Romano Prodi, Mario Monti ed Enrico Letta e già raggiunto da molti Paesi nel mondo.
Il tempo era scaduto da un pezzo, ma niente è cambiato da allora. I legittimi portatori di interessi continuano a essere scambiati per faccendieri, opportunisti delle relazioni, professatori del «faccio cose, vedo gente».
LOBBY CON REGOLE PRECISE. La volgata del «Ah Fra’, che te serve?» rovina la reputazione di una categoria di seri professionisti, che porta avanti un mestiere con regole precise, strumenti leciti e sforzi per raggiungere gli obiettivi dei clienti rappresentati, nel mentre cresce l’attenzione anche di gruppi internazionali e delle importanti firm americane per il mercato della lobby europea e italiana.
Lunedì 23 marzo, La Stampa ha titolato «I lobbisti restano senza legge», con un interessante articolo di Paolo Baroni che mostra la situazione della legislazione italiana, o meglio i tentativi susseguitisi in questi anni di far approvare una legge in tempi certi, senza riuscire a ottenere alcun risultato, nonostante i 15 progetti presentati solo in questa legislatura.
L’ITALIA È IN RITARDO. Anche se la legge venisse promulgata domani mattina, arriverebbe comunque tardi, dietro alla maggioranza dei Paesi europei, ma persino dietro al Cile che nell’estate 2014 ha reso operativo un regolamento molto stringente, ideato dal governo di destra di Sebastián Piñera e approvato da quello di sinistra di Michelle Bachelet.
Dopo la Germania, prima nazione a introdurre meccanismi di controllo per le relazioni istituzionali, già nel lontano 1951, ci ha pensato anche l’Austria a farci sentire in difetto con una delle più severe leggi sulla lobby in circolazione che prevede, tra gli altri, l’obbligo di registrazione.
STOP APPROSSIMAZIONE. Se guardiamo al dato, ci sono stati più Paesi che hanno introdotto una regolazione sulle lobby negli ultimi cinque anni che nei precedenti 60: il 41% dei Paesi Ocse ha recentemente promulgato o rafforzato la propria legislazione sulle attività di lobbying.
Tuttavia molto spesso la regolamentazione è più figlia degli eventi e degli scandali, che di una vera e propria visione strategica di lungo periodo.
In Italia, al netto degli scandali, non dobbiamo correre il rischio che si arrivi a una legge approssimativa che finirebbe per scontentare tutti.
FALLIMENTI DELLA POLITICA. In questo momento in parlamento possono dire di averci provato tutti, dal Partito democratico, al Nuovo centrodestra, passando per Forza Italia fino ad arrivare naturalmente al Movimento 5 stelle.
Il problema è che pur trovandosi tutti d’accordo sull’assoluta necessità di istituire un registro pubblico per la categoria dei lobbisti, con criteri di selezione oggettivi, un codice deontologico e precisi obblighi, la quadra stenta ad arrivare e non sembra dietro l’angolo.
In Italia ci troviamo nella paradossale situazione per cui i rappresentanti dei ‘portatori di interessi’ sono una delle poche categorie professionali senza rappresentanza. E non è dirimente la distinzione su chi debba gestire i registri pubblici dei lobbisti (Autorità anticorruzione, presidenza di Camera e Senato, Antitrust, ovvero Palazzo Chigi).
RIDARE FIDUCIA AI GOVERNI. Quello che manca è un vero boost che porti dalle parole ai fatti e, in questo caso, a un disegno di legge che abbia anche solo un 50% di possibilità di essere discusso e approvato.
Eppure regolare le attività di influenza potrebbe rialzare o almeno bloccare l’emorragia di fiducia nei governi occidentali.
Una recente ricerca dell’Ocse ha rivelato come il 60% dei cittadini degli Stati membri dichiari che non ha fiducia nel proprio governo. Stando a un report di Transparency International, l’Italia è agli ultimissimi posti per quanto riguarda trasparenza (11%), integrità (27%) e pari condizioni di accesso ai processi decisionali (22%), fattori centrali per garantire il pluralismo del processo politico.
PUNTI CHIAVE PER LA LEGGE. Ho già espresso a suo tempo i tre punti chiave alla base di una legislazione in materia di lobby, ma è bene ricordarli:
1. Trasparenza. È l’ingrediente principale di qualsiasi regolamentazione. Che poi avvenga con un albo al quale obbligatoriamente iscriversi, con un registro volontario o con altre formule sono dettagli. Altrettanto trasparente deve essere il processo legislativo.
2. Incompatibilità. Se Paola Bianchi fa la parlamentare, l’assistente parlamentare, il funzionario o il dipendente pubblico, ma anche se fa la giornalista, non può fare la lobbista.
3. Autorevolezza del controllore. Perché la legge non rimanga lettera morta qualcuno si deve preoccupare di certificare che Mario Rossi è un lobbista e di rendere cogenti le norme applicate.