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La Sublime Rivoluzione Comunicativa Di Navarro Valls

La sublime rivoluzione comunicativa di Navarro Valls

La scomparsa di Joaquín Navarro Valls, lo scorso 5 luglio, ha colto un po’ tutti di sorpresa. Da tempo lo storico portavoce di papa Giovanni Paolo II non era più un volto abituale per i telespettatori, i giornalisti e tutti coloro che seguono l’affascinante vita vaticana e del Pontefice. Venuto a mancare il Papa comunicatore anche Navarro-Valls ha fatto lentamente un passo indietro, nonostante il ricordo di quegli anni straordinari di pontificato sia rimasto impresso nel cuore e nella mente di milioni di persone in tutto il mondo. Giovanni Paolo II è stato il Papa della lotta indomita in favore della libertà e contro ogni forma di oppressione, a partire da quella che gravava sulla sua Polonia e sui Paesi allora controllati dall’Unione Sovietica. Il Papa delle grandi adunate, instancabile nei suoi viaggi apostolici da un lato all’altro del pianeta, costantemente impegnato per parlare a tutti, a partire dai giovani. Senza rincorrere il consenso, cosa innaturale per un grande leader religioso, ma diffondendo un messaggio la cui forza viene ulteriormente moltiplicata dalla dimestichezza con i mezzi di comunicazione adottati.

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La svolta di Navarro Valls. Per comprendere appieno la forza dirompente del ruolo di Navarro Valls è utile ripercorrere brevemente l’impostazione che caratterizzava la comunicazione vaticana prima dell’arrivo nel 1984 in sala stampa del brillante giornalista spagnolo, corrispondente di punta del quotidiano iberico Abc, medico e membro dell’Opus Dei. I predecessori di Navarro Valls venivano infatti definiti “porta silenzi” ed erano ecclesiastici a cui venivano affidate le “chiavi” di un organismo poco aperto all’esterno e impegnato nella strenua difesa delle “sacre stanze”. Quelle stanze che, come ha scritto Matteo Matzuzzi su Il Foglio, proprio Navarro Valls si è incaricato di spalancare. Non una rincorsa al sensazionalismo o una dimostrazione di scarso rispetto verso un’istituzione millenaria, ma piuttosto un segnale di attenzione verso un contesto mediatico che aveva stabilmente puntato i riflettori sul Vaticano: a partire dalla creazione di uno spazio in cui interloquire, anche in modo informale, con i giornalisti e dall’autorizzazione all’accesso delle telecamere in luoghi sino a quel momento impenetrabili.

Navarro Valls aveva ben presente l’evoluzione attraversata dal mondo della comunicazione tra gli Anni 80 e 90 e il nuovo millennio e fu un comunicatore a 360 gradi, in dialogo perenne con gli organi di informazione di tutto il pianeta: «Sono in contatto con tutto il mondo 24 ore su 24», raccontava con il suo sorriso timido a chi gli chiedeva come trascorreva una giornata tipo. «Di giorno mi chiamano da Europa e Africa, di sera e di notte dall’America, prima dell’alba da Giappone e Asia». Un’esigenza imprescindibile per chi guida la struttura di comunicazione di un’organizzazione universale. Non è difficile immaginare l’elegantissimo e sempre compassato Valls mentre, anche facendo leva sulla sua anima poliglotta e sulla sua esperienza di reporter internazionale, parlava al telefono con i cronisti delle principali testate anticipando il programma di un viaggio apostolico o commentando le ultime dichiarazioni del Pontefice.

Una funzione (anche) diplomatica. Un ruolo che gli ha permesso di acquisire anche una funzione tipicamente diplomatica, come riaffermato da Radio Vaticana: Valls ha partecipato infatti a diverse conferenze internazionali delle Nazioni Unite come delegato della Santa Sede e ha seguito per ogni viaggio apostolico il delicatissimo e strategico lavoro di preparazione, come nel caso della storica visita a Cuba. Un comunicatore di razza come era Valls poteva infatti beneficiare sia della dimestichezza con gli ex colleghi giornalisti sia della pronunciatissima sensibilità, che lo rendeva molto più di un portavoce: un rappresentante autorevole della Santa Sede per rendere possibili momenti di incontro che hanno segnato la storia della Chiesa Cattolica.

«Grazia sotto pressione». Greg Burke, l’attuale direttore della sala stampa vaticana, ha commentato la scomparsa del suo illustre predecessore con un’espressione ripresa da Ernest Hemingway: Valls era «grazia sotto pressione», la definizione che lo scrittore americano utilizzava per il concetto di coraggio. Il coraggio di un comunicatore come il giornalista spagnolo che si è rivelato il messaggero di Karol Wojtyla fino alla fine, con la comunicazione più drammatica del suo percorso professionale: l’annuncio della scomparsa dell’uomo di cui era stato la voce per più di un ventennio. Di Giovanni Paolo II Navarro Valls ci ha consegnato una bellissima descrizione, che ben riassume la forza del messaggio alla base del suo pontificato e il vero motivo per cui ha scardinato ogni precedente paradigma comunicativo: «In lui mi pare che il bello, il buono e il vero apparivano nella sua comunicazione così unite tra loro che si capiva chiaramente la qualità della comunicazione per il contenuto di quello che stava comunicando». Come sempre accade, gli aspetti formali e di contorno dell’azione comunicativa sono essenziali e vanno curati con maestria e passione, come ha fatto Navarro Valls. Ciò che conta davvero è però la forza dei contenuti e l’autenticità del messaggio.

* Professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma

 

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