Impegno social e attivismo da poltrona
di Gianluca Comin
Il movimento #MeToo rappresenta uno dei più celebri esempi di l’Hashtag Activism, una modalità di attivismo in Rete in cui una campagna con finalità sociali nasce sul web e si diffonde sui social network attraverso l’uso virale di un hashtag di riferimento. Si stima che dopo un anno dall’inizio della campagna, (iniziata nell’ottobre 2017), l’hashtag sia stato utilizzato più di 19 milioni volte su Twitter, quasi 55 mila volte al giorno. La velocità e la capacità del movimento #MeToo di puntare i riflettori sul tema degli abusi sessuali hanno stupito il mondo intero ma, a ben vedere, la prima campagna virale che ha consacrato l’efficacia di questa modalità di attivismo risale al 2012, con il movimento #BlackLivesMatter legato alle rivendicazioni per l’omicidio dell’adolescente afroamericano Trayvon Martin, negli Stati Uniti.
IL SUCCESSO DI #BLACKLIVESMATTER
Secondo un recente studio del Pew Research Center Activism in the Social Media Age sull’uso dei social media e i nuovi strumenti di attivismo sociale e politico, l’hashtag #BlackLivesMatter continua a essere utilizzato, e rientra periodicamente nei trending topic di Twitter, in occasione di episodi di violenza nei confronti di afroamericani, fenomeni di razzismo e scontri con le forze dell’ordine. Solo per avere un’idea della portata del fenomeno, secondo i dati dello studio, l’hashtag è stato utilizzato più di 30 milioni di volte da maggio 2018 e ha contribuito in maniera sostanziale a mantenere costante l’attenzione sul fenomeno.
LA CAMPAGNA #BRINGBACKOURGIRLS
Il successo di #BlackLivesMatter ha dato modo ad altri movimenti di ottenere visibilità, seguendone l’esempio. Nel 2014 per esempio, la campagna social #BringBackOurGirls, nata in seguito al rapimento di centinaia di giovani studentesse da parte di un gruppo diterroristi islamici della Nigeria, è riuscita a ottenere una straordinaria attenzione mediatica dopo che personaggi del mondo dello spettacolo come Harrison Ford, Whoopi Goldberg e Anne Hathaway hanno condiviso la campagna su Twitter usando l’hashtag #BringBackOurGirls. La campagna è riuscita a ottenere addirittura il coinvolgimento dell’allora first lady Michelle Obama che ha espresso il suo supporto e interessamento alla vicenda postando una foto con l’hashtag. Un altro esempio famoso è legato alla premiazione degli Oscar del 2016, quando al grido di #OscarsSoWhite è stata denunciata la ridotta presenza di attori e lavoratori neri sui set delle maggiori produzioni cinematografiche. Grazie al diffondersi in maniera virale della campagna, l’attenzione del mondo venne catalizzata su un tema che non aveva trovato riscontro fino ad allora nel dibattito pubblico.
IN ITALIA HA SPOPOLATO #FAMOSTOSTADIO
Ma non solo negli Stati Uniti l’hashtag activism dà i suoi frutti. Nel 2017, la campagna social tutta italiana per la costruzione di un nuovo stadio a Roma è riuscita a riaprire il dibattito sul progetto del nuovo impianto sportivo nella zona di Tor di Valle, dopo il parere negativo della Giunta capitolina. Grazie all’intervento su Twitter di Francesco Totti, uno dei personaggi più amati nel mondo dello sport, («Vogliamo il nostro Colosseo moderno, una struttura all’avanguardia per i nostri tifosi e per tutti gli sportivi! #FamoStoStadio») e al coinvolgimento di molte personalità di rilievo, fra cui l’ex allenatore della Roma Luciano Spalletti, l’hashtag #famostostadio è diventato virale sul web in poco tempo, riuscendo a mobilitare migliaia di tifosi giallorossi a supporto del progetto, ritenuto dai cittadini un’opportunità unica per la modernizzazione della città e il rilancio dell’occupazione sul territorio.
Per quanto riguarda la percezione delle persone in merito all’attivismo social e suoi strumenti, molto interessanti i dati che emergono dalla ricerca del Pew Research Center. Secondo lo studio, il 69% degli americani ritiene che l’utilizzo di Facebook, Twitter e Instagram siano molto importanti per raggiungere obiettivi come suscitare l’interesse delle istituzioni in relazione a un problema avvertito come centrale per la comunità, mentre il 67% ritiene che dal web possano nascere importanti movimenti sociali. Sulle attività online, il 53% degli intervistati ha dichiarato di aver compiuto almeno una di queste azioni nel corso dell’ultimo anno: dal prendere parte a un gruppo sui social media per una causa sociale, aver utilizzato i social per trovare informazioni su manifestazioni o proteste nella loro area, fino all’ aver cambiato l’immagine del profiloper mostrare sostegno a una causa.
IL WEB E IL RISCHIO DELL’ATTIVISMO DA POLTRONA
Il 77% degli intervistati sostiene però che il coinvolgimento manifestato sui social media possa condurre al cosiddetto slacktivism, o attivismo da poltrona, che si traduce poi in un impegno politico limitato e in una scarsa partecipazione nella vita quotidiana. Queste forme di mobilitazione social infatti rappresentano una grande opportunità, in termini di visibilità di importanti iniziative e campagne, ma allo stesso tempo un rischio. Se uno dei motivi di riuscita dell’hashtag activism si basa proprio sulla possibilità di far parte di una community di riferimento in maniera semplice e disintermediata, capace di appagare il desiderio di impegnarsi per una buona causa con un clic, questa modalità può generare un vero e proprio distaccamento dalle iniziative politiche e sociali “in piazza” e dall’attivismo in generale. La sfida del futuro sarà quella di rendere le campagne social complementari, e non sostitutive, alla partecipazione nella vita di tutti i giorni, sfruttando così l’enorme potenziale della Rete per mobilitare le persone su temi di interesse comune e raggiungere insieme importanti obiettivi.