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Il Vero Valore Della Reputazione? Si Misura In Fiducia E Credibilità

Il vero valore della reputazione? Si misura in fiducia e credibilità

di Gianluca Comin

La reputazione, fiducia e credibilità: chi segue questa rubrica sa che concentrarsi sulla reputazione della propria azienda o dell’istituzione di appartenenza è a mio avviso uno dei compiti più affascinanti per un comunicatore. Nonché un banco di prova imprescindibile per valutare l’efficacia della propria azione. Certo, un Chief financial officer(Cfo) viene valutato in base alla solidità finanziaria che è in grado di garantire, così come spetta al responsabile innovazione fare in modo che i processi aziendali beneficino sempre più della tecnologia in termini di rapidità ed efficienza.

La reputazione, fiducia e credibilità: il comunicatore è parte attiva

Il comunicatore, che mi piace indicare con il ruolo di Chief communication officer, deve dunque essere parte attiva di un processo serio e trasparente di valutazione delle sue azioni: al di là del “far sapere” all’esterno o di promuovere la propria eccellenza presso target selezionati, in cosa consiste davvero il contributo insostituibile che la comunicazione garantisce?

La reputazione, fiducia e credibilità: un capitale da costruire

Uno studio dell’Ipsos Global reputation centre, intitolato “Unlocking the Value of Reputation”, ci aiuta a fare proprio questo: se l’obiettivo principale è costruire passo dopo passo un capitale reputazionale che faciliti la crescita di un’azienda e la metta al riparo da improvvise crisi, come facciamo a tracciarne le ricadute?

Partiamo dalla considerazione fondamentale, spesso data per scontata: l’87% dei consumatori di tutto il mondo ammette che le proprie decisioni di acquisto derivano fortemente dalla reputazione di cui gode un brand. Nel contesto europeo la percentuale scende un po’ (il 79% la ritiene una discriminante), ma quello su cui il report si focalizza è l’effetto positivo di una buona reputazione nel medio-lungo termine, non solo nell’attimo in cui scegliamo un prodotto. Perché la reputazione è fiducia e credibilità.

La reputazione è come un vecchio amico

Se la reputazione di un brand è forte saremo più propensi a concedere quello che Ipsos definisce «il beneficio del dubbio». Insomma, chi di noi trarrebbe conclusioni affrettate su un amico che conosce da una vita? O su un collega con cui collabora da molti anni? Lo stesso accade quando un’azienda è “nell’occhio del ciclone” per una scelta ritenuta sbagliata o per uno scivolone pubblico del suo management.

Beneficio del dubbio?

A livello globale il 24% dei consumatori intervistati ritiene che concederebbe il beneficio del dubbio a un’azienda colpita momentaneamente da una crisi, mentre il 48% lo ritiene molto probabile. Tra coloro che dichiarano di nutrire una profonda fiducia in una data impresa, evidenzia Ipsos, il 59% ammette senza problemi che sospenderebbe il proprio giudizio in attesa di maggiori informazioni.

Reputazione solida e “beneficio del dubbio”, combinati assieme e direttamente correlati, sono dunque una rete di sicurezza non trascurabile. Ipsos identifica anche i settori per cui questo legame delicatissimo è più complesso da costruire: i trasporti aerei, le telecomunicazioni, l’oil&gas. Vale soprattutto per il nostro continente: a livello globale gli europei si rivelano infatti i più “sospettosi” nei confronti delle aziende.

Disposti ad accettare il prezzo

Se dovessimo però rispondere alla domanda «Quanto vale la reputazione?», potremmo citare due elementi: una maggiore ricezione delle proprie attività di advertising e una maggiore propensione dei consumatori a “pagare di più” per un bene di cui apprezzano la qualità. Se ciò che devo scegliere di acquistare viene distribuito da un’impresa di cui mi fido, sarò anche più disponibile ad accettare un prezzo che ne racchiuda l’unicità. Queste due metriche possono apparire semplici, ma sono un buon esempio di come la reputazione abbia un valore davvero percepibile: non solo per l’immagine di un gruppo, ma anche per le sue concrete prospettive di crescita.

Difficile creare consenso sui social

L’analisi di Ipsos si chiude con un interessante approfondimento sui nuovi strumenti di Digital Engagement. Perché la reputazione, nell’era del web, dipende anche da come sappiamo presentarci in Rete. Secondo l’istituto di ricerca, più della metà dei consumatori intervistati è disponibile a visitare il sito web di un’azienda, ma solo il 28% è pronto a seguire un account corporate sui social media.

“Conoscere” un brand non ha un impatto solo sul suo grado di visibilità, ma anche sull’effettiva propensione a candidarsi per un posto di lavoro. Anche qui una buona reputazione è la chiave: solo se ci fidiamo di un marchio saremo pronti a “metterci la faccia” condividendo informazioni sui nostri account personali, applicando per una posizione, parlandone con i nostri contatti (online e offline).

Contenuti che siano comprensibili

Per questo diventa essenziale distanziarsi dal rumore di fondo impostando uno stile comunicativo che garantisca una qualità che gli intervistati attribuiscono con maggiore difficoltà alla Rete: la credibilità. Quello che diciamo sui social sconta quindi un “credibility lag”, mette in guardia Ipsos, da colmare facendo in modo che i contenuti comunicati siano facilmente comprensibili, stimolino all’approfondimento e siano rapidamente condivisibili. Fiducia e credibilità per sbloccare, come dice Ipsos nel titolo del suo studio, tutto il valore di una buona reputazione.

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