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I Discorsi Dei Leader: Quando Servono Le Parole

I discorsi dei leader: quando servono le parole

di Gianluca Comin

Leader e parole: in un suo editoriale sul Corriere della Sera di lunedì 16 aprile, Ernesto Galli della Loggia cita lo storico discorso di Winston Churchill pronunciato nel giugno 1940 alla Camera dei Comuni per rimotivare gli inglesi alla lotta contro Hitler. Lo studioso non ha dubbi: «Gli uomini politici democratici parlano. Hanno il dovere di parlare ai propri concittadini».

Questo dovere della parola, una prerogativa spesso sottovalutata da chi ricopre un incarico pubblico e istituzionale, è un elemento caratterizzante dell’immagine che vogliamo trasmettere: la capacità di scegliere le parole giuste, di creare un rapporto empatico con chi ci ascolta, di dare forma a sentimenti diffusi nell’opinione pubblica, di rispondere a dubbi e paure con prese di posizione che non appaiano eccessivamente retoriche. La scelta non è però né facile né automatica: al di là della propensione personale a parlare in pubblico, la selezione della modalità migliore è innanzitutto strategica.

Le parole immortali di Churchill

Congiunture storiche come quella in cui un grande leader come Churchill si trovò a parlare alla Nazione non capitano certo tutti i giorni. Si trattava indubbiamente di un’epoca diversa per modalità di fruizione dei contenuti.

Possiamo immaginare gli inglesi demoralizzati dalla guerra e dai bombardamenti accoccolati davanti alla radio, come abbiamo avuto modo di vedere nelle immagini mozzafiato dell’ultimo film di Christopher Nolan, Dunkirk.

È interessante ricordare, lo si legge nel sito del governo britannico, che il politico conservatore tenne il discorso in un’aula parlamentare, senza la possibilità di essere registrato direttamente dalla radio. Fu un annunciatore della Bbc a riportare stralci dell’intervento, poiché Churchill si decise a ripeterlo davanti a un microfono solo a guerra conclusa, nel 1949, con l’obiettivo di tramandarlo ai posteri. Forse è questo che ha contribuito davvero a rendere quelle parole immortali, perché nell’immediato molti uditori della Camera dei Comuni non apprezzarono particolarmente quello che sembrava un tentativo retorico di mascherare la debolezza britannica e l’apparente superiorità del nemico nazista.

2 Churchill

Winston Churchill.

A rivolgersi direttamente ai cittadini tramite i mezzi di comunicazione di massa furono altri due grandi leader carismatici. Negli anni tormentati della Grande Depressione il padre del New Deal, Franklin Delano Roosevelt, decise di parlare agli americani con le sue chiacchierate radiofoniche “al caminetto”.

Uno strumento per impostare una narrazione su una serie di misure politiche che avevano scioccato l’opinione pubblica americana e che rappresentavano una novità assoluta in termini di espansione dell’apparato pubblico.

Leader e parole: il format di De Gaulle 

A utilizzare invece la televisione, qualche decennio più tardi, sarà il presidente francese Charles De Gaulle, come raccontato nel volume L’uomo dello schermo di Riccardo Brizzi, edito da Il Mulino.

Irritato da un rapporto spesso conflittuale con la grande stampa, il Generale decise di inaugurare un nuovo format tutto pensato per il piccolo schermo: conferenze stampa, in una location evocativa come il Salone delle Feste dell’Eliseo, coinvolgendo tutti i membri del governo in un crescendo continuo fino al suo ingresso da un accesso celato da tende. Con una serie di accortezze in più: dalla sola voce a una presenza scenica a tutto tondo, sempre con l’intento di colpire l’audience e di diffondere i propri messaggi in modo emozionale.

Emman Macron Jean Jacques Bourdin Edwy Plenel

L’intervista a Emmanuel Macron.

Le scelte di oggi, dopo l’irruzione sulla scena dei nuovi media, sono ancora più complesse e dipendono dal ruolo e dal momento politico. Per una alta carica dello Stato, come il Presidente della Repubblica, il discorso dal proprio studio e trasmesso dalla televisione è un appuntamento codificato dalla prassi ed entrato ormai nell’immaginario dei cittadini.

Le altre occasioni per parlare in pubblico sono sempre rigorosamente perimetrate, come nel caso di celebrazioni di anniversari storici o di incontri con altre autorità. Ci sono però momenti in cui parlare direttamente alla stampa e, per suo tramite, all’opinione pubblica diventa necessario: lo abbiamo visto quando il Presidente Mattarella ha deciso di prendere la parola al termine del primo giro di consultazioni, ripercorrendo in modo pacato ma fermo ciò che era avvenuto e i passi successivi verso l’identificazione di una possibile maggioranza di governo.

Macron senza filtri

Le accelerazioni, soprattutto in politica estera, possono spingere invece un leader a uscire dal contesto usuale per “mettersi alla prova” in uno studio televisivo: l’attacco missilistico alla Siria ha costretto il giovane Presidente francese Emmanuel Macron a sottoporsi domenica sera al fuoco di fila di domande di due giornalisti sulla rete francese Bfmtv.

Un’intervista «inedita nella Quinta Repubblica» (come ha ammesso lui stesso) per assenza di filtri e irritualità, che ha scardinato i riti di una “monarchia repubblicana” come la Francia. Nonché lo stile finora utilizzato da Macron, definito da autorevoli commentatori degno di un dio olimpico poco interessato a intervenire a gamba tesa nel dibattito pubblico.

Vedremo nei prossimi giorni, dopo due giri a vuoto di consultazioni e schermaglie quotidiane a distanza, quali parole sceglieranno i leader politici per raccontare le proprie decisioni e “spiegare” questa delicata fase di transizione.

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