Sorpresa: gli Stati Uniti temono le big corporation
Quali sono le percezioni degli americani sulle attività delle grandi imprese? Driver di ricchezza, innovazione e posti di lavoro? O un motore di profitto e sfruttamento?
La risposta è duplice e dipende da che punto si guarda il risultato.
Abbiamo sempre creduto che il Paese che ha fatto del sogno americano la propria bandiera, un Paese iper liberista e votato alla competitività sfrenata, guardasse con ammirazione e speranza alle attività delle aziende di casa propria.
Un’indagine promossa da Cnbc e dalla società di public affairs Burson-Marsteller fornisce invece un’immagine diversa del popolo americano quando si tratta delle big corporations e dei loro giochi di influenza.
TEST A 25 MILA PERSONE. Durante tutta l’estate è stato sottoposto un questionario online a circa 25 mila persone provenienti da 25 nazioni differenti, dai Paesi avanzati a quelli in via di sviluppo, per capire le opinioni riguardanti la potenza delle imprese, le loro attività, il rapporto tra queste e i governi, e molto altro ancora. Il risultato è il Corporate Perception Indicator.
È naturale che nei mercati emergenti, dove solo una parte dei cittadini ha accesso a internet, l’indagine tenda a essere meno affidabile nel catturare il parere della popolazione, ma sta di fatto che l’indice fornisce una serie di risultati molto interessanti, anche per quanto riguardo il percepito italiano.
THANKS, NO LOBBY. Quando si tratta di esercitare potere sull’economia in generale, gli americani hanno opinioni contrastanti, ma sono generalmente a proprio agio.
Quando invece si tratta di valutare il potere delle big corporation sul governo della res pubblica il loro parere cambia di segno.
Alla domanda se le aziende hanno «troppo, troppo poco o la giusta quantità di influenza sul futuro della nostra economia» infatti, il 48% degli americani ha risposto che le aziende ne hanno troppa, anche sul futuro delle nostre stesse vite.
Un risultato che si pone a metà strada tra il 24% della Cina e il 63% del Brasile, cui si aggiunge il 56% dell’Italia, seconda classificata in questo speciale ranking sull’influenza delle aziende.
Tuttavia è interessante notare che una domanda simile formulata in maniera più teorica ottiene risultati strutturalmente diversi.
Tutto dipende da quello che si chiede, perché nei sondaggi si sa, non conta la risposta, ma come poni la domanda.
NON È COSA BUONA E GIUSTA. Infatti una volta chiesto se «è una cosa buona o cattiva per le aziende essere forti e influenti?», solo il 31% degli americani ha risposto che è una good thing, il secondo risultato più basso tra Paesi esaminati, contro il 71% della Colombia, il 70% dell’India e il 50% dell’Italia, nazioni che pensano sia positivo che le aziende possano esercitare un alto livello di potere sull’economia.
Nelle nazioni in cui le aziende hanno storicamente meno potere e l’ideologia capitalista è meno sviluppata l’ottimismo e il supporto per il settore è esponenzialmente più alto.
Nella Cina guidata dal Partito comunista, per esempio, il 74% degli intervistati è totalmente d’accordo con l’affermazione che «sia positivo quando le aziende sono forti e influenti, perché sono motori di innovazione e di crescita economica».
PIÙ CAPITALISMO, PIÙ DIFFIDENZA. Un risultato tre volte superiore al livello riscontrato in economie capitaliste come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l’Australia.
Inoltre gli Stati Uniti, dopo l’Italia, sono il Paese che guarda con maggiore sospetto al rapporto tra lobby e attività di governo, con il 59% degli americani che è convinto che l’influenza giocata dalle aziende e dalle lobby firms sulla politica nazionale sia troppo alta e diffusa (a lot of influence).
I cinesi, invece, che hanno una bassa percezione del potere delle corporation in termini di advocacy (solo il 19% vede una sostanziale influenza delle aziende sul governo, ben 40 punti percentuali in meno rispetto agli Stati Uniti), sono più propensi a credere che sia positivo per le aziende guadagnare tale forza e influenza nei confronti del governo.
Una tesi corroborata dalla domanda se il ruolo delle grandi imprese nel nostro futuro sia un motivo di speranza o di paura.
DOPO LA CRISI DEL 2008 C’È TIMORE. I più alti livelli di paura si riscontrano proprio nelle nazioni occidentali più ricche, Stati Uniti e Gran Bretagna in primis, ma anche Spagna (52%) e Australia (31%), mentre i livelli più alti di speranza li ritroviamo nelle economie asiatiche come Indonesia (87%), Cina (84%), Malesia (78%) e India (73%).
Un risultato che testimonia il timore dell’occidente nei confronti del potere delle grandi corporation sui destini delle nostre vite, soprattutto dopo la grande crisi del 2008.