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È L’epidemia A Fare Informazione O L’informazione A Fare L’epidemia?

È l’epidemia a fare informazione o l’informazione a fare l’epidemia?

di Gianluca Comin

Infodemia”, questo è il termine, esplicativo, scelto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per spiegare (e lanciare l’allarme) il rischio di una epidemia di fake news, capaci di creare allarmismo e persino panico, capaci di creare mostri e far vacillare interi settori economici. Questo infatti stanno generando le informazioni relative alle epidemie sui social al divampare del Coronavirus riportando all’attenzione la questione, rimasta irrisolta, relativa alla comunicazione scientifica e, in generale, alla gestione delle crisi transnazionali.

Infodemia indica, secondo l’Oms, quell’«abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno». La disinformazione, o meglio l’informazione fai da te, sul virus cinese e sulla sua pericolosità sta creando ulteriori effetti negativi nella gestione dell’epidemia.

Più che interrogarci sulle ragioni del fenomeno, ci dovremmo chiedere: è l’epidemia a fare informazione o l’informazione a fare l’epidemia? Il fenomeno, strettamente legato all’emotività e alla sensibilità dell’audience, rimane negli anni, nei suoi tratti caratteristici, uguale a sé stesso, mentre evolvono i mezzi con cui viene comunicato.

COMUNICARE UN’EPIDEMIA SIGNIFICA TOCCARE LA SFERA EMOTIVA

Se già in passato, attraverso i media tradizionali, le conseguenze della diffusione delle notizie scientifiche relative a possibili focolai di virus erano difficili da gestire, oggi la situazione sembra essere completamente sfuggita di mano. Attraverso piattaforme quali Facebook, Twitter, Linkedin, Instagram, ognuno può dire la sua, incidendo profondamente sulla percezione dell’avvenimento. Dunque, per affrontare al meglio la gestione di questo tipo di avversità è necessario ripensare il concetto di comunicazione di crisi.

Come ho avuto modo più volte di ricordare in questa rubrica, nella società della post verità, le informazioni scientifiche sono sempre le più difficili da comunicare a causa del linguaggio, spesso tecnico e ostico, che viene utilizzato. Comunicare un’epidemia significa toccare la sfera emotiva del pubblico e questo, se fatto attraverso l’uso di un linguaggio poco chiaro, può comportare gravi incongruenze.

Controlli sui passeggero all’aeroporto Leonardo Da Vinci di Roma.

Le epidemie rappresentano una grave crisi transnazionale e come tali devono essere gestite. L’informazione globale non consente di nascondere nulla. Non ci si rivolge, poi, ad un unico target, ma ad un pubblico vasto che comprende ogni strato della società. Inoltre, in questo caso, gli attori coinvolti nel processo comunicativo solo molteplici e, spesso, autorevoli: dagli Stati alle organizzazioni internazionali, dalle multinazionali ai singoli ospedali, fino alle organizzazioni non governative. Una grande sfida per i comunicatori, dunque.

SERVONO TRASPARENZA, CREDIBILITÀ E DATI AGGIORNATI E ACCESSIBILI

La comunicazione di un’epidemia dovrebbe allora essere basata su almeno alcuni principi fondamentali, che l’Oms ha ben chiarito da tempo: trasparenza, credibilità, rilevanza, tempestività e chiarezza. Una comunicazione trasparente, basata su dati aggiornati e accessibili, costituisce sicuramente la base per creare con l’opinione pubblica la fiducia necessaria ad evitare il panico. La tempestività è fondamentale per evitare che informazioni sbagliate possano dare un quadro più drammatico della realtà sulle condizioni di diffusione dei virus. L’informazione deve essere poi chiara e rilevante, deve utilizzare un linguaggio semplice e fruibile da tutte le persone.

Inoltre, il messaggio, in questo caso più che mai, deve essere concreto. Non è necessario costruire storytelling sofisticati; è necessario comunicare i veri rischi presenti e come affrontarli. Messaggi brevi, precisi ed efficaci che siano in grado di trasmettere sicurezza. Usando quando possibile testimonial credibili e conosciuti. Questa la vera sfida per la comunicazione delle emergenze sanitarie. Con cosa comunicare? Dovendoci rivolgere ad ampi strati della pololazione, di diversa estrazione cultura, età e abitudini non dovremo rinunciare a nessun mezzo di comunicazione, da quelli diretti a quelli intermediati.

Ovviamente i social media sono lo strumento più immediato ed economico, ma non possono essere trascurati i tradizionali mezzi televisivi e cartacei, oltre ad un processo di comunicazione diretta come lettere e mail in casi puntuali ed estremi. È quindi importante mantenere un approccio strategico e integrato che permetta di avere sotto controllo le informazioni che circolano sui tutti i media e comunicare l’epidemia a ogni target. Il tempo saprà darci le risposte, quel che è certo è che siamo difronte all’inizio di una nuova era che potrebbe cambiare le regole del gioco.

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