Dalla politica all’impresa: è l’era delle nuove competenze
di Gianluca Comin
Politica e impresa: il libro The Death of Expertise dello studioso statunitense Tom Nichols (pubblicato in Italia da Luiss University Press con il titolo La conoscenza e i suoi nemici) ha sicuramente il grande merito di aver posto, da una prospettiva accademica, il tema del ruolo della competenza nel contesto sociale di oggi.
Una lettura che lo stesso presidente del Consiglio uscente Paolo Gentiloni ha consigliato all’affollata platea di manager dell’ultimo forum di Cernobbio. Non è una novità che ci sia al momento attuale uno scontro, più o meno evidente, tra coloro che si ritengono depositari di un bagaglio di conoscenze consolidato e coloro che rivendicano, invece, la possibilità di agire liberamente, a seconda delle proprie esigenze.
È un dibattito antico che, nel caso degli Stati Uniti, affonda le radici nella convinzione che all’uomo comune non possa essere precluso l’accesso a ruoli di responsabilità per il semplice fatto di non possedere tutti gli strumenti intellettuali richiesti.
Politica e impresa: il destino di un esperto
La rilevanza di questa discussione è sicuramente aumentata ora che alla Casa Bianca siede un “homo novus”, che ha fatto dell’uomo comune il suo specchio e il suo punto di riferimento: Donald Trump ha sconfitto la “classe politica” e l’élite del suo stesso partito proprio puntando sulla sua ineguagliata capacità di farsi forte delle qualità più percepibili (la strafottenza, l’essersi fatto da sé, il successo televisivo, l’affrontare i problemi in modo sbrigativo e senza girarci troppo attorno), mettendo in ombra le sue debolezze.
Al contrario dei predecessori, ossessionati dall’idea di apparire “presidenziabili” e dalla necessità di essere visti dagli americani come uomini (o donne) capaci di sedere nella Situation Room e di decidere in pochi minuti il futuro della Nazione. L’esempio di Trump potrebbe spingere molti a utilizzare sbrigativamente la formula di Nichols: sì, la conoscenza è morta perché degli “esperti” non c’è più bisogno (o non se ne percepisce come in passato l’importanza).
Un’etichetta, quella di “esperto”, che viene percepita da molte parti con diffidenza oppure che viene attribuita con troppa disinvoltura. Vorrei però lasciare il campo della politica e concentrarmi sul mio settore: quello della comunicazione d’impresa.
L’evoluzione che ha subito negli ultimi decenni è forse superiore (o comunque è stata molto più accelerata) di quella che ha vissuto la politica in questi ultimi anni.
I media tradizionali hanno perso il loro ruolo di rigidi gate-keeper dell’informazione: se in passato qualcosa era vero “perché c’è scritto sul giornale” (o “perché lo ha detto la televisione”), ora le notizie vengono diffuse da una miriade di canali, soprattutto online, che hanno totalmente bypassato i meccanismi di selezione e approfondimento delle vecchie redazioni.
I tempi accelerati e l’orizzontalità del processo di fruizione delle informazioni hanno rivoluzionato il modo stesso in cui veniamo a conoscenza di ciò che accade intorno a noi: come ha scritto sull’ultimo numero della rivista Aspenia il presidente della Rai, Monica Maggioni, la vecchia “gerarchia” delle notizie (articolo, taglio basso, editoriale) sembra un retaggio della carta stampata che il web ha reso irrimediabilmente obsoleta.
Pensiamo poi alle informazioni che vengono trasmesse da un’azienda. Se in passato il livello di autorevolezza del mondo dell’impresa era indiscutibile, oggi rischiamo di cozzare contro un muro di diffidenza che non ci permette di essere sufficientemente credibili.
Nuovi strumenti, nuove competenze
La “conoscenza”, quindi, per il moderno comunicatore, diventa innanzitutto padronanza dei nuovi strumenti. Il contesto nel quale dobbiamo inserire il nostro flusso di informazioni non può più essere dato per scontato: non sto parlando solo del web in generale, ma di tutte quelle nuove tendenze (pensiamo, per esempio, alla comunicazione visuale e alla costruzione di infografiche) che richiedono una seria ricognizione delle competenze “interne” di una Direzione comunicazione e la valutazione di eventuali supporti esterni.
Quasi il 90% dei colleghi a livello europeo, intervistati durante l’ultima edizione della ricerca annuale condotta dalla European association of communication directors, ritiene infatti che la nuova frontiera della comunicazione visuale richieda nuove competenze professionali.
Una sfida che riguarda tutti
Sulle competenze, però, è utile una riflessione anche da parte dei manager: una reputazione a tutto tondo, infatti, richiede uno sforzo in più nella costruzione della propria immagine pubblica.
Oggi un amministratore delegato, oltre a garantire buoni risultati economici e a illustrare i propri obiettivi manageriali, deve essere sempre più in grado di entrare in modo autorevole nel dibattito pubblico, di prendere posizione su temi di interesse, di pronunciarsi sulle sfide del presente incarnando il punto di vista privilegiato del mondo dell’impresa e rappresentandone i traguardi in termini di ricadute sociali, sostenibilità e proiezione verso l’innovazione.
Più che di eclissi delle competenze, dovremmo perciò parlare di rimodulazione delle capacità che assoceremmo naturalmente alle varie funzioni. Una sfida che riguarda tutti, sia la politica sia l’impresa.