Contro i “demoni” serve la comunicazione sobria di Mattarella
Il netto prevalere del No alle riforme costituzionali promosse dal governo di Matteo Renzi è arrivato a conclusione di una aspra campagna referendaria, che si lascia alle spalle un Paese sfibrato da mesi di toni accesi e durissimi. Un surriscaldamento dello scontro che si è allargato a macchia d’olio, dalle aule parlamentari agli studi televisivi, dalle piazze ai social media. Il dibattito sulle modalità con cui modificare i meccanismi decisionali previsti dalla nostra Carta ha portato a una polarizzazione confusa, che ha tagliato trasversalmente i blocchi sociali: nel fronte del ”Sì” e del ”No” si sono infatti riconosciuti sia appartenenti all’area di centrosinistra sia di centrodestra, sia i più giovani sia i più anziani, al Nord come al Sud. È proprio in un momento di profonda lacerazione come questo che abbiamo l’occasione di testare il valore di uno stile comunicativo in controtendenza come quello della presidenza della Repubblica.
Istituzioni percepite lontane. Non è certo l’ora di fare il bilancio degli errori di un fronte e delle mosse azzeccate dell’altro. L’ampio distacco messo a segno dal ”No” (60% a 40%) e l’immediata decisione di Matteo Renzi di fare un passo indietro costringono a trarre rapidamente le conclusioni. Certo, in una fase politica come quella attuale non è una novità che chi governa venga “punito” alle urne da un elettorato che avverte le istituzioni come distaccate dalla realtà e lontane dai veri bisogni dei cittadini.
Un politico “alieno”. A fare da contraltare al clima tossico di un dibattito pubblico spesso incline alla demonizzazione e sottoposto alla minaccia del populismo potrebbe essere in queste ore la voce autorevole e pacata del capo dello Stato Sergio Mattarella. Un uomo politico di lungo corso, che si è fatto le ossa in un periodo storico che ci appare oggi molto lontano, sia per il modo di percepire le istituzioni sia per il registro comunicativo adottato allora.
Tanti non hanno esitato, nei mesi successivi alla sua inaspettata elezione, a fare dell’ironia sulla sua proverbiale sobrietà e sul modo di fare apparentemente rigido e polveroso. Soprattutto se messo a confronto con la tempesta quotidiana di tweet e apparizioni televisive a cui ci hanno abituato le figure politiche di oggi, da Renzi e Matteo Salvini. Un approccio forse anacronistico, ma potenzialmente in grado di fare la differenza dopo mesi di toni troppo alti e contrapposizioni esasperate.
Ciampi dialogava coi giovani. Ogni presidente della Repubblica ha dovuto affrontare la sfida di identificare una propria cifra distintiva, anche nel campo della comunicazione. Carlo Azeglio Ciampi ha dedicato il suo settennato a un dialogo costante con il Paese e con le giovani generazioni, nell’ammirevole sforzo di liberare dalle scorie della retorica valori come il patriottismo e l’orgoglio dell’italianità.
Mattarella sarà per la prima volta sotto i riflettori, anche se il suo stile avrà poco a che spartire con i trend dominanti di questa fase politica
Un solco nel quale si è mosso anche il suo successore Giorgio Napolitano che, in momenti drammatici per l’Italia e l’Europa, si è assunto la responsabilità di rappresentare la continuità delle istituzioni e di orientare la politica oltre le crisi temporanee. Un ruolo che Napolitano ha ricoperto adottando un linguaggio diretto, se necessario, e che lo ha spinto ad accettare il peso di un secondo mandato senza risparmiare dure critiche alla presunta incapacità della classe politica di scrivere insieme un’autentica agenda riformista.
Dalle picconate al «non ci sto». Che sia un monito o un intervento pubblico, è anche lo stile della comunicazione a segnare indelebilmente un mandato presidenziale. Dalle picconate di Francesco Cossiga al vibrante «Non ci sto» di Oscar Luigi Scalfaro, fino all’ultimo commosso discorso di fine anno di “re Giorgio” Napolitano.
Ora uno stile di rottura. Ora che Palazzo Chigi attende un nuovo inquilino, il Quirinale sarà al centro del canonico ciclo di consultazioni per formare un nuovo governo o per tracciare una road map in vista delle elezioni. Ci si aspetta dunque che Mattarella sia per la prima volta sotto la luce dei riflettori, anche se il suo stile avrà poco a che spartire con i trend dominanti di questa fase politica.
Serve un silenzio ben calibrato e poche, incisive, parole che riorientino il dibattito nella direzione desiderata
Lontano dalle polemiche urlate on e offline, il presidente continuerà presumibilmente a restare fedele a una presenza pubblica che si è finora distinta per il riserbo e l’assenza di eccessi di protagonismo. Una tendenza che è parte integrante di quel ruolo di garanzia che la Costituzione attribuisce al Colle e che sarà un capitale di fiducia da spendere nelle ore concitate che ci attendono.
Una faticosa ricerca. Esistono due modi per far sentire la propria voce: o cercando di urlare più forte degli altri per neutralizzarne brutalmente le argomentazioni oppure lasciando che un silenzio ben calibrato e poche, incisive, parole riorientino il dibattito nella direzione desiderata, dando il la alla faticosa ricerca di un compromesso. È questo, senza dubbio, lo stile comunicativo che Mattarella adotterà per accompagnarci fuori dall’impasse post-referendum.