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Comunicazione Cross-culturale, Qualche Avvertenza

Comunicazione cross-culturale, qualche avvertenza

di Gianluca Comin

La recente crisi reputazionale che ha colpito il duo della moda italiana Dolce e Gabbana ha portato alla ribalta il tema del rischio collegato alla comunicazione in contesti culturali diversi da quello di appartenenza.

Il caso è noto ed è stato al centro del dibattito pubblico per alcuni giorni: prima lo scivolone legato a uno spot della casa di moda giudicato offensivo e denso di stereotipi dal pubblico cinese, poi le critiche derivanti dallo sfogo sui social media di Stefano Gabbana, che si è difeso sostenendo di aver subito l’hackeraggio del proprio profilo.

Mai come in questi casi, poi, si discute dell’opportunità o meno di “fare ammenda” e di correggere la posizione dell’azienda colpita dalla crisi reputazionale: gli stilisti, considerati un’icona a livello mondiale del made in Italy, hanno deciso di girare un video di scuse rivolto al pubblico cinese, con il consueto corollario di ulteriori critiche e ironie.

Se dovessimo riassumere la questione in poche parole, potremmo dire che alle difficoltà solitamente collegate a un flop comunicativo si è aggiunta la complessità della relazione con culture diverse, da sempre fonte di grattacapi in ambito business.

CONSAPEVOLEZZA, CONOSCENZA E ABILITÀ

Facciamo un passo indietro e partiamo dalla teoria. Parlando di comunicazione interculturale non si può non citare lo studioso Geert Hofstede, considerato il padre di questa disciplina.

Secondo Hofstede, «l’acquisizione delle abilità di comunicazione interculturale passa attraverso tre fasi: consapevolezza, conoscenza e abilità». Ciò significa che il primo passo consiste nel riconoscere che i nostri interlocutori sono dotati, per usare una celebre espressione dello studioso, di un «software mentale» che deriva dall’ambiente in cui sono cresciuti e dall’universo culturale a cui fanno riferimento.

In seconda battuta, non si può stabilire una relazione efficace se non si acquisiscono informazioni su tale universo e sugli elementi distintivi.

IL FRAINTENDIMENTO È DIETRO L’ANGOLO

Qualche esempio? La gestione di una riunione con partner giapponesi, l’agenda del mondo arabo ben diversa dalla nostra, l’orgoglio del mondo indiano, e così via.

Infine, l’abilità di ottenere il nostro scopo, che è sicuramente la dote cruciale per fare in modo che ciò che comunichiamo venga recepito e, soprattutto, non frainteso.

Certo, il fraintendimento è sempre dietro l’angolo e il settore della moda non è esente da numerosi casi in cui sfoghi personali o campagne mal interpretate hanno avuto un impatto importante sulle aziende e sul loro business. Non c’è niente di più rischioso di “giocare” con simboli che possono essere percepiti in determinati contesti culturali come intoccabili.

Come ha riscostruito la giornalista Chiara Beghelli in un recente articolo del Sole 24 Ore, stilisti di fama come Valentino e Stella McCartney hanno dovuto affrontare negli anni passati ondate di critiche legate alla scelta di adottare in modo superficiale stili africaneggianti in collezioni accusate di «appropriazione culturale».

L’avvento dei social media, inoltre, è il vero fattore critico: se prima ci si sarebbe limitati a qualche piccato articolo sulla stampa specializzata, oggi la reputazione di un brand viene fatta a pezzi da commenti su Instagram e sui principali canali, come accaduto in questo caso.

Dolce E Gabbana Comunicazione Business Scarpe Cina
Un modello di scarpe firmate Dolce & Gabbana, recentemente travolti dalle polemiche per lo spot della campagna in Cina.

GESTIRE LA SFIDA DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Al di là dei fatti recenti, è però sempre utile mettere in fila alcune regole che possono rivelarsi utili in molti ambiti, non solo in quello della moda. Esistono diverse teorie di management che si concentrano proprio sulla sfida dell’internazionalizzazione di un brand e sulle difficoltà che possono sorgere quando un’azienda si espande in un contesto sociale diverso da quello di appartenenza.

La prima esigenza è collegata alla definizione della giusta strategia di business per un nuovo mercato: a cambiare non sono infatti solo i punti di riferimento culturali, ma anche le abitudini di consumo e il valore che un determinato prodotto può rappresentare per i singoli consumatori.

In un’epoca segnata dalla globalizzazione delle merci, dei servizi e delle persone la prospettiva locale è comunque un fattore imprescindibile, che non può essere trascurato.

L’INGREDIENTE DELL’ASCOLTO

Nel caso della moda, l’italianità è sicuramente un valore aggiunto del proprio brand, perché espressione di uno stile e di una tradizione che rendono unico il nostro Paese.

D’altro canto, però, non si può pretendere che il semplice trasferimento di un modello di business in un altro contesto geografico sia sufficiente per raggiungere il successo ottenuto in patria. Lo stesso vale per la comunicazione: ciò che funziona per un pubblico già fidelizzato o che condivide lo stesso universo di riferimento potrebbe rivelarsi un boomerang altrove.

Per questo, l’ingrediente che non dovrebbe mai mancare nelle nostre strategie comunicative è quello dell’ascolto. Analizzare il contesto in cui vogliamo espandere le nostre attività, anche con focus group, identificare quali sono gli influencer dell’opinione pubblica e dei player che intendiamo raggiungere, mappare i valori ai quali la società è maggiormente ancorata, adattare i nostri messaggi alla sensibilità di un’audience straniera.

L’EQUILIBRIO TRA VISIONE GLOBALE E RISPETTO DELLE IDENTITÀ

I due poli tra i quali oscillerà la nostra strategia sono dunque: da un lato, la capacità di presentarsi come brand o azienda a proiezione internazionale e, dall’altro, l’esigenza di non accontentarsi di un approccio standardizzato e omogeneizzante.

Questo vale per tutti i passaggi cruciali che un’azienda deve affrontare: dallo sbarco in un nuovo mercato alla gestione di operazioni di acquisizione di importanti realtà, oltre alla reazione a crisi reputazionali. C’è inoltre un aspetto da non sottovalutare: si comunica non solo verso l’esterno, ma anche al proprio interno. Le grandi realtà internazionali sono contraddistinte da una forza lavoro diversificata per provenienzacultura, e religione. Anche in questa dimensione si rivela essenziale calibrare i propri messaggi, mantenendo quel difficile equilibrio tra visione globale e rispetto dell’identità dei singoli.

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