Lo sviluppo che nasce dal basso non venga bloccato
Il tema delle liberalizzazioni è forse tra i più discussi e trattati a vari livelli. Decine e decine di convegni economici e giuridici, centinaia di conferenze di consumatori, migliaia di articoli di giornale. Da qualche decennio le decisioni di governi e delle stesse Autorità hanno spinto i confini del confronto tra le imprese sempre più avanti. Eppure ancora oggi, se interroghiamo gli italiani, sono sorprendentemente pochi quelli che dichiarano di essere disposti a cambiare gestore e certamente un numero ancora minoritario quelli che si dichiarano soddisfatti.
Italia, liberalizzazioni a rilento
In questi anni sono stati compiuti passi importanti verso una piena liberalizzazione di settori strategici della nostra economia, dalle telecomunicazioni, all’energia, passando per il settore assicurativo, fino ad arrivare al settore bancario.
Queste attività intervengono a regolamentare il gioco delle parti traincumbent e new comer. In mezzo troviamo lo Stato e le Autorità regolatorie, che devono mediare e controllare che vi sia un serio e giusto bilanciamento tra regolazione e concorrenza.
Dagli Anni 90 a questa parte le liberalizzazioni in Italia si sono realizzate per scatti successivi, dove ogni passo cercava di aprire il mercato attraverso una regolazione più flessibile, tenendo sempre conto della tutela del consumatore.
Liberalizzare infatti significa anche porre nuove regole a sostegno e in difesa dei soggetti più deboli che operano sul mercato.
L’Italia è un Paese che negli anni si è dimostrato lento nell’aprirsi alla concorrenza e al mercato. Si stima che, se pienamente liberalizzato, il settore dei servizi potrebbe produrre nel lungo termine la crescita dell’11% del PIL nazionale e dell’8% i livelli occupazionali.
Il mercato evolve molto velocemente
Tuttavia negli ultimi anni la velocità e le modalità con la quale il mercato evolve sta incrinando il sistema di certezze acquisite e i sistemi regolatori a cui siamo abituati. Sta nascendo un mondo parallelo che crea valore in senso economico e che attraverso una serie di tecnologie e servizi correlati sta mettendo in crisi il concetto stesso di regolazione e di andamento dei mercati, che accresce notevolmente la libertà di scelta del cittadino-consumatore. Così come cambia radicalmente il consumo, che a volte precede l’intervento stesso delle attività di regolazione.
Questo fenomeno in parte coincide con lo sviluppo nel panorama mondiale della sharing economy, stimata al 2013 con un prodotto di 15 miliardi di dollari, e con una crescita inarrestabile. Come afferma Arun Sundararajan, professore di Scienze del Management alla New York University, «interagire in Rete, organizzare dei gruppi, genera valore e la fiducia che si crea sta permettendo a milioni di persone di scambiarsi direttamente servizi e merci senza nessun intermediario”.
La sharing e lo sviluppo dal basso
Pensiamo a un caso di estrema attualità come Uberpop, servizio che permette ai privati di diventare autisti non professionisti e per il quale le autorità di regolazione nazionali si sono espresse a favore di un accesso più libero a questo tipo di servizi. Alcune di queste ragioni sono state esposte dall’Antitrust che nella sua segnalazione annuale per la legge sulla concorrenza aveva indicato di aprirsi ad innovazioni tecnologiche come appunto Uberpop, andando incontro alle nuove esigenze della mobilità cittadini e dei consumatori.
A causa delle tariffe elevate infatti, il servizio di taxi soddisfa solo la domanda dei segmenti a reddito medio-alto, il settore business e, in parte, quello turistico. Se prendiamo i soli dati di Roma, i cittadini che utilizzano con una certa frequenza il taxi sono meno del 10%, a fronte del 60% della popolazione capitolina che non lo ha mai usato in vita sua, non per affezione ecologista ai mezzi pubblici, ma a causa dei costi troppo elevati del servizio. Pertanto a causa della sua posizione esclusiva il taxi si è trasformato in un servizio per pochissimi, quando dovrebbe esser essere un servizio pubblico.
La politica non blocchi lo sviluppo
La politica in questi casi dovrà regolamentare, ma non potrà bloccare uno sviluppo che viene dal basso e si dimostra dirompente. Lo dimostra il fatto che là dove si sono messi d’accordo mezzi tradizionali e nuove forme di sharing economy, da New York a Tel Aviv passando per Londra e Milano, nessuno ci ha rimesso e l’offerta si è allargata.
Ciò di cui bisognerebbe rendersi conto è che quando esistono innovazioni dirompenti e nuove forme per soddisfare le esigenze dei consumatori (anche grazie a una tecnologia sempre più dinamica) domanda e offerta sono destinate a incontrarsi, a prescindere dalle previsioni normative.
E forse la morale del discorso è proprio questa: lo Stato e le authority non dovrebbero avere l’obiettivo di indirizzare la società civile, ma quella di regolamentare fenomeni economici che nascono e crescono spontaneamente.