
La sfiducia, combustibile del populismo
di Mattia Ferraresi
Il fenomeno populista, nelle sue diverse articolazioni, si è sviluppato nell’ultimo decennio con una velocità impressionante a livello globale non solo per la sua forza persuasiva, ma perché ha trovato davanti a sé ampi spazi che le democrazie liberali hanno lasciato sguarniti. Il suo combustibile è la sfiducia. Molti segnali indicano che negli ultimi decenni è in calo la fiducia verso istituzioni e autorità varie: Stati, governi, istituzioni sovranazionali, media, partiti politici, organizzazioni economiche, religioni, università.
Uno studio delle Nazioni Unite mostra che dal 2000 al 2020 la fiducia dei cittadini a livello globale verso i propri governi è scesa di diversi punti, attestandosi attorno al 35%. Il calo non è stato lineare, ma si è manifestato in diverse ondate che ricalcano vari momenti di crisi. Nel primo quarto di questo secolo si possono riconoscere cinque momenti significativi di crisi che hanno contribuito a logorare la fiducia in sistemi e strutture che sembravano ancorate saldamente a certezze acquisite e irreversibili. Sono cinque delusioni che hanno reso fragile il terreno su cui camminano gli abitanti di questo tempo.
La prima delusione è, appunto, quella democratica. Le guerre in Afghanistan e in Iraq mosse dagli Stati Uniti e dalla coalizione occidentale sull’onda degli attentati dell’11 settembre 2001 non avevano solo lo scopo di scovare e punire i responsabili degli attacchi ma di esportare la democrazia nei luoghi che fornivano terreno fertile per il terrorismo. Osama Bin Laden è stato scovato e ucciso ma la missione di impiantare un sistema democratico con gli eserciti dopo averci provato con McDonald’s e il mercato è fallita. Di quella stagione rimangono le successive reincarnazioni del brand terroristico di al Qaeda e la vergognosa fuga degli occidentali da Kabul, con i talebani che riprendono il potere e restaurano il loro regime di oppressione con rinnovata convinzione. Questa epopea di disillusione ha raffreddato anche i più calorosi adepti della democrazia liberale come destino definitivo dell’umanità e fine della storia.
La seconda delusione è quella economica. La crisi finanziaria del 2008 ha messo in ginocchio il sistema del risparmio e scoperchiato il verminaio di avidità delle banche d’investimento. Il collasso ha generato la Grande Recessione e, a cascata, ha contribuito alla crisi del debito sovrano in Europa, con il dramma della Grecia che ha rischiato di mandare gambe all’aria l’Eurozona. Il progetto europeo ha resistito ma l’intera economia globale ha sofferto la stagione nera della crisi che ha lasciato molte cicatrici. La generazione dei millennial che si è affacciata sul mercato del lavoro in quegli anni di sofferenza è cresciuta alla scuola della frustrazione e ha interiorizzato il senso di una promessa tradita.
La terza delusione è quella della tecnologia digitale. Nel giro di un decennio le speranze celestiali che hanno accompagnato l’alba della rivoluzione digitale sono state rimpiazzate dalla percezione che nello sviluppo tecnologico si annidasse qualcosa di demoniaco. Le compagnie della Silicon Valley si sono trasformate da propulsori di una rivoluzione in infradito in mostri assetati di dati e profitti. Google si è mangiato tutta la navigazione online, Amazon è diventata l’orda barbarica che ha spazzato via tutti gli altri dal mercato, Mark Zuckerberg ci permetteva di rimanere in contatto con i parenti lontani e si è trovato davanti a una commissione del Congresso americano in cui il più gentile gli ha detto che ha le mani sporche di sangue. Elon Musk in pochi anni è passato da geniale inventore di auto elettriche efficientissime a strambo colonizzatore di Marte a pazzotico propagandista trumpiano, che gioca con i social media e controlla satelliti che possono decidere le sorti delle guerre. San Francisco, paradiso dell’innovazione e del progresso, è diventata l’inferno delle disuguaglianze e della criminalità, abitata da masse di indigenti marginalizzati che sopravvivono a due passi da signori della tecnologia che sfrecciano su auto senza conducente, più odiati dei banchieri di Wall Street negli anni Ottanta.
La quarta delusione è quella della scienza che si è manifestata con la pandemia di Covid-19. La ricerca scientifica ha fatto passi grandiosi per contrastare in tempi brevissimi un virus che ha ucciso circa 7 milioni di esseri umani ma l’ottimismo neopositivista che aveva regnato nei decenni precedenti ne è uscito malconcio. Si credeva che con un tocco magico si potesse risolvere tutto. La storia della pandemia, invece, è anche la storia dei misteri della malattia che non siamo riusciti ad afferrare, degli effetti a lungo termine che ci sfuggono, dei litigi fra esperti, dello scetticismo sui vaccini, della rabbia sociale per i lockdown, della resistenza alla dittatura sanitaria, del rigurgito antiscientifico, della paranoia complottista.
Infine, l’ultima delusione è quella della pace. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022 ha riportato lo spettro della guerra nel cuore dell’Europa. I conflitti non si erano mai del tutto allontanati dal vecchio continente ma l’invasione sul larga scala dell’Ucraina ha riproposto la guerra nel suo peggiore volto novecentesco, riportando in auge i bombardamenti aerei a tappeto, i carri armati, il logoramento sulla linea del fronte, la brutalità di assedi che si protraggono per anni. Soprattutto, ha restaurato l’idea della violazione dell’integrità di uno stato e dell’occupazione di territori come via credibile per affrontare i rapporti fra gli stati. Un mondo che sembrava archiviato è improvvisamente riemerso. La Russia, invece di trovare l’isolamento della comunità internazionale, ha trovato l’aiuto e la solidarietà della Cina e di tutto il sud globale. Nella guerra fra Russia e Ucraina, la maggior parte dell’umanità è con Mosca e contro la reazione occidentale al fianco di Kiev. Un’altra delusione che ha rinfocolato i sentimenti dei nazionalpopulisti di tutto il mondo.
Mattia Ferraresi è giornalista per il quotidiano “Domani”. È stato per dieci anni corrispondente per “Il Foglio” dagli Stati Uniti e, tra il 2018 e il 2019, fellow alla Nieman Foundation for Journalism di Harvard. Scrive regolarmente per alcuni giornali americani, fra cui “The New York Times” e “The Boston Globe”. Ha scritto con Martino Cervo “Obama. L’irresistibile ascesa di un’illusione”, “Politica americana”, “La febbre di Trump”, “Il secolo greve”, con Massimo Camisasca “Oltre la paura”, “Solitudine” e ha pubblicato quest’anno “I demoni della mente”.
Immagine: © Moreno Maggi