Quanto ci influenza il political advertising?
di Gianluca Comin
Molti ricorderanno il famoso spot “Ashley’s Story” della campagna elettorale del 2004 di George W. Bush. Lo spot in questione racconta la storia dell’abbraccio tra l’allora Presidente degli Stati Uniti e la sedicenne Ashley Faulkner, la cui madre era stata uccisa durante gli attacchi terroristici dell’11 settembre. Nell’epoca dei pre-social media, l’immagine dell’abbraccio – catturata da Lynn, il padre di Ashley – divenne talmente virale da essere notata dal team della campagna elettorale di Bush, che trasformò la foto e l’evento in un capolavoro di political advertising. Lo spot, costato 6 milioni e mezzo di dollari, ritrae parenti e amici che raccontano la loro versione dell’evento, in un climax ascendente che viene sublimato nella dichiarazione della giovane Ashley: “Qui c’è l’uomo più potente del mondo, e tutto quello che vuole fare è assicurarsi che io sia al sicuro, quindi sto bene”.
Lo spot, apparso proprio nelle ultime due settimane di una campagna elettorale dall’esito incerto, giocò un ruolo fondamentale tanto da essere considerato da molti osservatori, scrittori e giornalisti dell’epoca – tra cui Chris Salmon – responsabile della vittoria finale di Bush jr.
Dunque, il fatto che centinaia di milioni di dollari vengano spesi da candidati repubblicani e democratici nel tentativo di convincere il loro pubblico a votare per loro ci fa pensare che la pubblicità funzioni molto bene anche in politica. Ma è ancora e veramente così? Le Primarie Democratiche del 2020 sembrano raccontarci un’altra storia. Il caso di Michael Bloomberg – che, secondo l’ABC e altre fonti, avrebbe speso oltre un miliardo di dollari (un quarto in sola pubblicità) nel tentativo di diventare il candidato del Partito Democratico – sembra essere emblematico.
Come addetti ai lavori, dovremmo iniziare a chiederci fino a che punto il political advertising influenzi le scelte dell’opinione pubblica, soprattutto alla luce di quanto stiamo vivendo e del ruolo sempre più preponderante dei canali digitali. Secondo l’ultimo studio di Alexander Coppock, Seth J. Hill e Lynn Vavreck, tre studiosi e professori americani, la risposta è “non molto”. Nell’articolo “The small effects of political advertising are small regardless of context, message, sender, or receiver: Evidence from 59 real-time randomized experiments” (2020), i tre autori hanno esaminato i risultati di 29 settimane di ricerca condotte tra marzo e novembre 2016 nell’ambito delle elezioni che hanno portato al potere Donald Trump. A 34.000 elettori (divisi in pool di 1000 e 2000 persone a seconda della settimana) sono stati mostrati annunci pubblicitari di candidati alle primarie e alle presidenziali e spot placebo con pubblicità di automobili. Gli intervistati hanno poi risposto a un sondaggio elaborato per valutare l’impatto dell’annuncio sulle loro preferenze politiche. Come fanno notare gli autori, uno spot efficace dovrebbe indirizzare le preferenze per un candidato piuttosto che un altro. Nonostante tale convinzione, lo studio ha però dimostrato che l’effetto dello spot sulle preferenze politiche degli intervistati era minimo. Cosa trarre da questo esperimento, dunque? Che un annuncio politico non ha un impatto rilevante nel plasmare o nel cambiare le preferenze degli elettori e le alleanze di partito, completamente in netto contrasto con ciò che i commentatori dell’epoca avevano speculato sull’impatto di “Ashley’s Story”. Una rivelazione molto importante soprattutto se si tiene conto di come, durante i processi di digitalizzazione, il digital advertising stia frenando la sua corsa nell’anno della pandemia.
Alla luce di quanto dimostrato fino ad ora, risulta evidente che non è uno spot a fare la differenza in politica, bensì la strategia comunicativa adottata. Oltre alla pubblicità ci sono, fra le altre, le apparizioni pubbliche, i comizi, le conferenze e i dibattiti con gli avversari che hanno un ruolo molto importante nel far conoscere un candidato e nel fornirgli occasioni per divulgare le sue idee e l’agenda politica. Dunque, oggi più che mai, è necessario impostare una buona strategia di personal branding con un storytelling mirato e coerente da veicolare in ogni media, on e off line.
In conclusione, tutte le attività, le tattiche e i canali – compresa la pubblicità politica – sono tasselli importanti delle strategie per plasmare le preferenze degli elettori e per vincere un’elezione. Il political advertising è solo una parte del lavoro di una campagna elettorale. La comunicazione politica, alla fine, non dovrebbe trascurare nessun aspetto perché una strategia integrata è una strategia efficace.