Milano e l’Ema, non tutte le sfortune vengono per nuocere
La cocente delusione, anche per via della modalità del sorteggio, per la scelta di Amsterdam per l’Agenzia Europea del Farmaco è già stata sviscerata a sufficienza sia dai protagonisti della politica, sia dai grandi media. Milano, la “capitale europea” del nostro Paese, sembrava infatti avere tutte le carte in regola per sostituire Londra come sede della prestigiosa istituzione europea, costretta a traslocare dopo la decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea. L’Ema, oltre a portare con sé il valore aggiunto di un personale internazionale iper-specializzato e del suo indotto, avrebbe rappresentato per il capoluogo lombardo anche una conferma della leadership in un settore strategico come quello delle scienze della vita e della sua conclamata proiezione verso l’innovazione tecnologica. Come ha giustamente ricordato Paolo Bricco sulle colonne del Sole 24 Ore, il primato di Milano nel campo della farmaceutica è incontestabile: la Lombardia è infatti una delle Regioni-chiave per questo comparto, che a livello nazionale ha 130 mila addetti, 30 miliardi di euro di produzione (21 di export) e 2,7 miliardi di euro di investimenti.
Una campagna a tappeto. Secondo Bricco, la mancata scelta di Milano è un segnale negativo non solo per ragioni di naturale “patriottismo” del nostro Paese e dei suoi settori produttivi, ma anche perché sembra contraddire apertamente l’obiettivo di tendere sempre più verso un’autentica “economia della conoscenza” a livello europeo, che premi le eccellenze industriali e le sinergie tra i vari Stati membri. Cerchiamo però di allargare l’obiettivo e di inquadrare cosa resta, in termini di lesson learned, di questo processo di candidatura dall’esito sfortunato. Un aggettivo piuttosto adatto, visto il sorteggio finale che ha premiato la capitale olandese. In termini comunicativi, la creatività non è sicuramente mancata, sia offline sia online. Allo straordinario lavoro del nostro network diplomatico, che si conferma sempre più una rete al servizio degli obiettivi geo-economici del Paese, si è accompagnata infatti una campagna a tappeto sui social media, all’insegna di un hashtag facilmente condivisibile (#EMA2Milano), di un video emozionale di promozione della città lombarda e del coinvolgimento mirato di tutti gli stakeholder e influencer, naturalmente portati ad amplificare i messaggi sui punti di forza della candidatura.
La necessità di “fare sistema”. È diventato ormai un mantra insistere sulla necessità per l’Italia di superare le logiche particolaristiche e di “fare sistema” al di là delle rappresentanze di categoria e delle rivendicazioni meramente partitiche. Per una volta, possiamo dire di aver dato un’ottima prova in tal senso, vista anche la capacità di Milano di raccogliere un punteggio molto alto e di conservarlo fino al sorteggio finale. La collaborazione tra governo nazionale e autorità locali, come nel caso di Expo, si dimostra un grande elemento di traino, soprattutto se è in grado di sublimare le differenze di schieramento in un lavoro comune, “di squadra”.
Per i professionisti della comunicazione e delle relazioni istituzionali, qualche appunto in più di cui tenere conto in caso di progetti simili, che possono avere sia valenza pubblica sia riguardare il settore privato. Il posizionamento strategico di un territorio come contesto in grado di attrarre investimenti o di un’azienda a proiezione internazionale dovrebbe basarsi su elementi di forza che è facile far percepire ad un’audience differenziata. Sia a portatori di interesse più raffinati sia a un pubblico meno specializzato. L’impatto economico su un territorio delle attività di un’azienda, gli investimenti in ricerca e innovazione, i volumi di produzione destinati all’export, gli occupati: sono numeri che potrebbero sembrare “freddi”, ma che sono spesso molto più efficaci di generici riferimenti a concetti astratti come “dinamicità” o “eccellenza”.
Non solo “dolce vita”. Sarebbe ingeneroso sostenere che la candidatura di Milano a ospitare l’Ema si basava solo sui facili richiami alla “dolce vita” italiana, a cui avrebbero potuto accedere i suoi dipendenti e le loro famiglie. È stato l’ecosistema milanese a essere protagonista del dossier, con tutta la sua ineguagliata capacità di far coesistere la tradizione industriale del passato con l’innovazione tecnologica di questo decennio, in un’area che offre atenei a vocazione internazionale, ospita i grandi attori della finanza e stupisce i suoi visitatori per la capacità di sperimentazione della sua architettura urbana, avveniristica e sostenibile.
Un Paese che ha tanto da dire. Uno storytelling non dovrebbe essere didascalico o pigramente scontato. Dovrebbe spiazzare il nostro interlocutore mixando elementi razionalmente d’impatto e aspetti più emozionali, che fanno appello ad un universo valoriale condiviso e alla ricerca, tipica del nostro tempo, di essere al centro di esperienze di vita e di consumo che lasciano il segno. Questa volta la dea bandata ci ha giocato un brutto tiro, ma ci ha dato la possibilità di testare la nostra capacità di raccontare un Paese che ha molto da dire sul passato ma anche sul futuro. Brava Milano!
* Twitter: @gcomin