Intesa nucleare in Iran, che guerra tra lobby USA
L’esito del voto al congresso Usa per l’approvazione degli accordi con l’Iran è destinato a cambiare l’assetto geopolitico del Medio Oriente, ma non solo.
Attorno all’intesa sul nucleare ruotano interessi politici, culturali, religiosi e soprattutto economici: basta pensare all’impatto che avrà il ritorno delle risorse energetiche della Repubblica islamica nel mercato dell’oil&gas, da cui l’Iran è escluso ormai da più di 10 anni.
Barack Obama ha dichiarato che quest’accordo va supportato in tutti modi, essendo la migliore soluzione per evitare conseguenze ben peggiori che contribuirebbero ad aumentare il caos mediorientale.
Ma per evitare una guerra se n’è scatenata un’altra: quella delle lobby.
Portatori d’interesse alla carica. Anche la politica estera dei Paesi è sempre più soggetta all’azione dei portatori d’interessi, che spesso vanno a influire in decisioni politiche e diplomatiche.
Dal momento in cui il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Yukiya Amano, ha annunciato la firma del documento da parte del vice presidente iraniano Ali Akbar Salehi, l’attenzione si è spostata al Congresso degli Stati Uniti d’America che si deve pronunciare sulla revoca delle sanzioni.
Il presidente Rohani ha infatti dichiarato che non accetterà alcun trattato se non verranno prima ritirate le sanzioni a cui l’Iran deve sottostare da più di 10 anni.
Momento molto delicato. I lawmakers del congresso stanno vivendo un momento estremamente delicato, paragonabile solo, dicono gli esperti, al voto del 2002 per approvare l’invasione dell’Iraq sotto l’amministrazione George Bush.
L’unico modo con cui l’accordo voluto in prima persona da Obama può essere bloccato è che non si raggiungano i due terzi favorevoli al Congresso, in base alla costituzione americana.
Israele strenuo sostenitore del ‘no’
Le lobby più influenti sono gli storici comitati legati a Israele, a oggi il più strenuo sostenitore del ‘no’ all’accordo sotto la guida del suo presidente Benjamin Netanyahu.
Dove la diplomazia ha fallito, entrano in campo i lobbisti ed esperti di comunicazione: solo l’Aipac (American Israel Public Affairs Committee) ha stanziato 20 milioni di dollari in annunci pubblicitari in televisione e una delle più ingenti campagne sui social media a cui si sia mai assistito in America.
Movimenti dal basso. Non solo: la strategia del grassroots advocacy è ormai consolidata negli Stati Uniti, volta a mobilitare i movimenti dal basso della società per indurre i decisori politici a riconsiderare le proprie posizioni.
La spinta dei movimenti sociali costringe le istituzioni a doversi interfacciare con ambienti non istituzionali, ma che hanno un importante peso politico.
L’associazione Citizens Against a Nuclear Iran è nata all’interno di questa battaglia mediatica, mentre la Republican Jewish Coalition può contare su 40 mila membri.
“Ingaggiati” i senatori. L’obiettivo è quello di spingere l’opinione pubblica e i decision maker contro l’accordo con l’Iran, attraverso digital advertising e ingaggiando sui social media i senatori di maggiore rilevanza, mentre Israele, dal canto suo, sta invitando decine di membri del congresso – sia democratici che repubblicani – a visitare Israele pubblicamente.
Obama accusa le associazioni di diffondere falsità
Durante un discorso all’American University, Obama non si è limitato a sostenere il ritiro delle sanzioni, ma ha pubblicamente accusato la stessa lobby che aveva voluto la guerra in Iraq di boicottare l’accordo con l’Iran, lasciando come unica alternativa un’altra guerra.
In questo contesto il riferimento all’Aipac è stato implicito, a differenza dell’incontro organizzato con i membri della lobby anti-accordo: il presidente Usa li ha accusati di «aver speso milioni di dollari in pubblicità contro l’accordo sul nucleare iraniano» e di diffondere anche «false informazioni».
Obama ha detto ai rappresentanti della lobby che non starà a guardare i loro attacchi ai quali ha promesso di «replicare in modo duro», come scrive lo stesso giornale americano.
Campagna a favore da 5 milioni. La risposta non s’è fatta attendere: la Casa bianca ha ingaggiato Ong e Movimenti pacifisti tramite le stesse organizzazioni di grassroots che lo hanno portato alla vittoria durante le elezioni del 2008.
Anche in questo caso non mancano i fondi: J-Street, una fondazione di ebrei liberali, ha stanziato 5 milioni di dollari in una campagna mediatica a favore dell’accordo, così come sono stati creati un account Twitter e un sito dedicato.
Anche la fondazione Ploughshares ha dichiarato di aver speso 11 milioni di dollari negli ultimi sei anni per raggiungere un accordo con l’Iran: vedendo i risultati, si può dire che sono stati soldi ben spesi.
L’importanza dell’opinione pubblica. Come ha ricordato il Senatore Ben Cardin in un’intervista ad Al Jazeera, «questa è una società aperta. L’opinione pubblica è una parte importante del processo».
È probabilmente questo il fattore che ha spinto il presidente Obama a un’azione più determinata, dato che i recenti sondaggi, contrariamente all’inizio di agosto, danno la maggioranza dei cittadini contrari alla linea pro accordo.
La marcia del 26 luglio contro l’intesa nucleare ha mobilitato migliaia di persone, spiazzando la Casa bianca e mostrando l’efficienza delle campagne grass roots organizzate dalle lobby contrarie al ritorno dell’Iran sullo scenario mondiale.
Si vedrà quale strategia risulterà vincente, e quale linea prevarrà al Congresso americano. Una decisione che modificherà sicuramente gli equilibri mediorientali, e che probabilmente rimarrà nella storia come uno dei più grandi fallimenti o successi dell’amministrazione Obama.