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I Gufi E La Comunicazione Nella Politica Di Oggi

I Gufi e la comunicazione nella politica di oggi

Ho seguito con molto interesse la diatriba andata in scena sulle pagine de Il Fatto Quotidiano tra Antonio Padellaro e Filippo Sensi, il portavoce del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Al centro del contendere l’autorevolezza della comunicazione istituzionale del primo ministro.
È uno spunto interessante per analizzare in che direzione sta andando la comunicazione politica degli ultimi anni. Il gufo utilizzato dal premier nelle slide della conferenza di fine anno simboleggia indubbiamente il disfattismo nostrano. Quel gruppo di persone che non crede nel cambiamento perché «finora non è successo niente» e pertanto non pensa né spera che possa avvenire.

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Avere un nemico in politica è utile. L’utilizzo di un nemico, vero o inventato, è una pratica piuttosto comune nella dialettica politica degli ultimi cinquant’anni. Fa sentire i cittadini parte di un gruppo, sicuri di stare dal lato “giusto” della barricata, e delinea nettamente il perimetro del messaggio pronunciato da un leader.

Tuttavia, come ha cercato di spiegare Filippo Sensi, i codici comunicativi dei leader politici stanno cambiando radicalmente. Non bisogna stupirsi che un premier giovane, che si è sempre presentato come alfiere del cambio generazionale, si faccia portatore di innovazioni comunicative che possono spiazzare un pubblico di giornalisti e politici abituato a codici più tradizionali.

Basti pensare al presidente degli Stati Uniti Barack Obama. L’abbiamo visto di recente sgommare su una corvette del 1963 accanto al conduttore televisivo Jerry Seinfield, per il programma televisivo Comedians in cars getting coffee.

Ma non è la prima volta che Obama si lascia andare a simpatiche gag. Il popolarissimo sito Buzzfeed lo ha convinto a girare un video virale dal titolo Things everybody does, but doesn’t talk about, in cui faceva smorfie davanti allo specchio e si fotografava con un selfie stick. O ancora la cancelliera Angela Merkel, che di certo non manca di un forte lato istituzionale, mentre beve una pinta di birra ai festival folk di paese. Non ultimo Vladimir Putin, che più volte ha mostrato il suo lato “privato”, attraverso servizi fotografici in palestra, a pesca o assieme ai suoi cani.

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Tuttavia il leader politico è in grado di distinguere nettamente i vari contesti in cui si trova e non compiere errori: negli incontri ufficiali lo stile deve essere chiaramente istituzionale e rigoroso.

Tornando all’esempio di Obama, è proprio la sua capacità di essere sé stesso con naturalezza (dal pranzo al McDonald’s al ricevimento a Buckingham Palace) che rende il suo comportamento in pubblico più credibile e genuino.

Ora si parla agli elettori, non ai giornalisti. Il premier Matteo Renzi può essere a volte criticato per la sua tendenza a forzare un po’ la mano di fronte a un pubblico, come quello italiano, che non è pronto a vederlo con un cono gelato in mano e subito dopo in divisa davanti ai soldati in Libano. Rimproverargli però l’incapacità di gestire le diverse tipologie di comunicazione è esagerato.

Al centro dello scontro Padellaro-Sensi c’è una tendenza della comunicazione politica che fa ormai la differenza: la scelta dell’interlocutore. Matteo Renzi, come Berlusconi prima di lui, non parla in via preferenziale ai giornalisti o agli addetti ai lavori, ma agli elettori.
È questa forse un’ulteriore forma di disintermediazione operata dal leader del Partito democratico, che ha impatti sia sul linguaggio sia sul modus operandi di chi fa politica.
Anche negli scontri pubblici più celebri, come quello con i sindacati, è chiaro che il vero destinatario dei suoi discorsi è sempre stato il cittadino-elettore, non qualche autorevole editorialista.

Il gufo, senza per forza giustificare l’aggressività retorica di Renzi, potrebbe essere interpretato come il simbolo dell’altro da sé: il “diverso” perché portatore di una visione antitetica delle cose, più scettico sulla possibilità di intervenire nel contesto che ci circonda.

Da qui gli attacchi, non solo di Padellaro, a un linguaggio considerato troppo diretto e poco istituzionale: parlare in modo semplice e senza filtri (senza per forza scivolare nel semplicismo) evita sicuramente le secche del “politichese”, ma toglie al giornalista il (legittimo) potere di interpretazione della notizia e di decrittazione del linguaggio politico.

L’obiettivo è restare a galla nel flusso di notizie. A che pro dedicare il caffè mattutino alla lettura di pensosi editoriali, quando basta scorrere le agenzie (o la timeline di Twitter!) per venire a conoscenza delle decisioni del premier? Forse è proprio questo il senso della polemica tra un cronista di razza come Padellaro e un ex giornalista quale Sensi.
In realtà, a ben guardare, la sterzata comunicativa del leader Renzi è dovuta soprattutto a un contesto in vorticosa evoluzione, segnato da eventi che, a mio avviso, hanno imposto al ‘Rottamatore’ un cambio di paradigma: penso all’impetuosa discesa in campo di Beppe Grillo e al successo del suo movimento, all’esigenza di rilanciare il centrosinistra umiliato dalla “non-vittoria” del 2013 e alla diffusione a macchia d’olio dei social network, con cui è necessario fare i conti.

Restare a galla nel flusso quotidiano di notizie e identificare strategie che permettano ai leader di partito di non essere travolti dal mare del web è un obiettivo che richiede (anche) l’adozione di un linguaggio incisivo e diretto, a tratti aggressivo o canzonatorio.
L’essenziale è trovare sempre il giusto equilibrio tra compostezza istituzionale e dirompenza verbale.

Twitter @gcomin

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