Cosa ci insegna la campagna per le elezioni di midterm
di Gianluca Comin
Social media, dati, annunci targettizzati. Sono questi gli ingredienti che sempre più vengono associati alle campagne elettorali, in un’era in cui il digitale non ha cambiato solo il modo in cui si creano relazioni sociali e si raccolgono informazioni, ma anche come ci si forma un’opinione politica.
Da anni discutiamo di come i Big Data, o meglio la possibilità di mettere insieme quantità impressionanti di informazioni personali, siano stati il fattore scatenante di una rivoluzione che ha riguardato tutti gli ambiti, dal business alla politica.
Non è un caso che proprio i dati siano diventati un elemento fondamentale della campagna elettorale che si è combattuta in questi ultimi mesi negli Stati Uniti per le cosiddette elezioni di medio termine.
Il primo appuntamento politico di rilievo dall’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca e un momento di svolta sotto gli occhi di tutti, sia degli esperti sia dell’opinione pubblica globale: la consultazione, che prevede il rinnovo di tutti i componenti della Camera dei Rappresentanti, di un terzo del Senato e di molti governatori, potrebbe infatti costituire sia un’occasione di rivalsa per i democratici sia una conferma della presa sul Paese di Trump, in vista della prossima campagna per la rielezione.
Il Financial Times ha dedicato di recente un’inchiesta all’uso dei Big Data nella campagna in corso e alle speranze che i rappresentanti del Partito democratico hanno riposto nella tecnologia.
La giornalista Hannah Kuchler, che firma il pezzo, racconta per esempio la storia di Shomik Dutta, veterana delle vittoriose campagne presidenziali di Barack Obama.
Il giorno dopo la sconfitta di Hillary Clinton a opera del tycoon newyorkese, Dutta ha deciso di concentrarsi da subito su un nuovo, ambizioso obiettivo: il fund-raising non avrebbe dovuto essere orientato a sostenere agguerriti candidati anti-Trump, ma piuttosto a studiare nuove tecnologie volte a raggiungere con maggiore facilità gli elettori.
Per questo ha dato vita, insieme ad altri due professionisti, all’incubatore di start-up politiche Higher Ground Labs. Un veicolo che ha un’unica condizione: sostenere la crescita di società innovative che lavorino alla diffusione di messaggi progressisti afferenti alla piattaforma valoriale dei democratici. Come ricostruito nell’articolo, il web è a oggi l’arena più importante da presidiare, superiore in rilevanza ai tradizionali spot televisivi che contraddistinguono ogni tornata elettorale statunitense.
I dati parlano chiaro: due terzi degli americani sono su Facebook e tre quarti controllano il proprio profilo ogni giorno. Perciò si prevede una spesa di oltre 1 miliardo di dollari in annunci pubblicitari digitali in quella che è stata, a detta dei ricercatori di Borrell Associates, la campagna elettorale non presidenziale più costosa di sempre.
IL NODO DELLA PRIVACY E LA FERITA DI CAMBRIDGE ANALYTICA
L’utilizzo strategico dei dati sulle porzioni di elettorato ritenute più strategiche per il risultato finale (e a cui dedicare maggiori energie per garantirne il coinvolgimento) si scontra però con una serie di valutazioni di carattere legale ed etico.
Brucia ancora molto, soprattutto nel contesto anglosassone, il caso di Cambridge Analytica, la società di marketing online accusata di aver prelevato da Facebook quantità industriali di dati sugli utenti, da impiegare a fini politici. Sono da tenere in considerazione inoltre tutta una serie di paletti che riguardano la privacy e la difesa della sfera personale: fino a che punto possiamo fidarci dei social network per cui abbiamo attivato account a nostro nome se poi ciò che pubblichiamo e apprezziamo diventa uno strumento per “schedarci”?
Uno dei punti per cui queste nuove realtà raccontate dal Financial Times vogliono distinguersi è proprio l’uso trasparente dei dati. Secondo i promotori di Higher Ground Labs, l’errore di fondo di Cambridge Analytica è stato proprio quello di mentire spudoratamente sull’utilizzo finale dei dati raccolti.
Le società che appartengono alla piattaforma sono invece invitate a rendere noto quali informazioni verranno catalogate, sottoponendo agli aderenti dei moduli da compilare.
A rendere significativo il campione saranno dunque, per esempio, i dettagli sulla classe di reddito, ma non quelli sullo stato d’animo o su altri orientamenti psicologici desunti dal comportamento online.
LA PROSSIMA SFIDA SARÀ IL VOTO EUROPEO
Per chiunque legge questi reportage, una domanda sorge spontanea: quante di queste rivoluzionarie tecniche attraverseranno l’oceano Atlantico in vista delle prossime elezioni europee? Tutti i partiti, più o meno sommessamente, stanno già scaldando i motori per prepararsi a questo nuovo appuntamento: un confronto con ricadute importanti nei vari contesti nazionali ma anche un’occasione per “misurare le forze” a livello europeo.
D’altronde, il web è da tempo uno strumento imprescindibile di lotta politica anche in Italia: non solo per via del seguito al Blog di Beppe Grillo, ma anche per la capacità continua dei due vicepresidenti del Consiglio, Luigi di Maio e Matteo Salvini, di raccontarsi su Facebook mantenendo un contatto diretto e disintermediato con la Base (leggi anche: Perché i leader populisti hanno sbancato sui social network).
Ma il web non è solo un canale di comunicazione, è anche uno spazio nel quale i nostri clic forniscono un’immagine di noi più completa di qualsiasi aggiornata indagine demoscopica.
Quanti movimenti politici, opposizione compresa, saranno in grado di adattare i propri messaggi sulla base di un’analisi puntuale dei temi più citati nelle conversazioni online?
E quanti dedicheranno risorse a indirizzare messaggi precisi, con tutti i limiti della normativa privacy, a determinati cluster territoriali o tematicidell’elettorato? Sarà interessante indagare queste tendenze nei prossimi mesi. È passato poco tempo dall’insediamento del governo, ma una nuova campagna è già iniziata.