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Che Politica Ci Aspetta Dopo Il 4 Marzo, Tra Percezioni E Marketing

Che politica ci aspetta dopo il 4 marzo, tra percezioni e marketing

di Gianluca Comin

Ultimi giorni di appelli e dichiarazioni e poi il responso alle urne. In molti sono dell’opinione che la campagna elettorale sia stata quella in cui i partiti che si candidano a governare il Paese abbiano, quasi tutti, giocato una partita più strana del solito.

Questi ultimi, infatti, più che cercare di convincere gli italiani con idee concrete, realizzabili e misurabili, avrebbero fatto a gara a farsi convincere, più e meglio, dai cittadini stessi, dalle loro inclinazioni e percezioni. Peserà insomma moltissimo, nei risultati di domenica 4 marzo la capacità di ciascuna formazione di intercettare quella che viene spesso definita sui giornali «la pancia del Paese».

Dopo il 4 marzo: cos’è la “pancia del Paese”

Un’espressione forse brutale che riassume però quell’insieme di percezioni che le persone hanno acquisito quando si discute, nella vita quotidiana, delle grandi tematiche che la politica deve essere in grado di affrontare.

Percezioni che possono essere disallineate rispetto a quelle dei decisori pubblici o che sono al centro del dibattito giornaliero sui media. O che derivano proprio da messaggi amplificati sulla stampa o nel web. Per chi si occupa di comunicazione politica, l’analisi di queste settimane è certamente interessante. Nel complesso, la campagna ha goduto di tre caratteristiche principali.

Innanzitutto, la lunghezza: leader e partiti battagliano senza sosta sin dal 5 dicembre 2016, ossia sin dai momenti immediatamente successivi allo spoglio delle schede del referendum sulla riforma costituzionale.

Poi una confusione accentuata, anche per la già turbolenta politica italiana: la disposizione degli schieramenti, delle liste e dei leader sul terreno di gioco è infatti divenuta chiara solo nelle ultimissime settimane, e gran parte dei cittadini – come affermano i sondaggi – non è ancora cosciente di ciò che si troverà davanti quando aprirà la scheda elettorale.

E infine, come dicevamo, un’attenzione spropositata non tanto ai bisogni degli italiani ma ai loro sentimenti, al loro umore del momento. Altalenante, perlopiù negativo, fortemente condizionato da alcuni temi come l’immigrazione e la crisi economica.

Il M5S traina tutti i passaggi della campagna elettorale

È nella capacità di reazione e risposta a questi “umori” che si è giocata, purtroppo, la competitività dei partiti. I programmi e le soluzioni ai problemi sono rimasti sullo sfondo. Un contesto del genere dà agli attori in campo l’opportunità di esercitare tecniche e temi anche innovativi nel racconto della visione, delle idee, delle posizioni che i cittadini si trovano dapprima a osservare e poi a scegliere al momento del voto.

Dopo il 4 marzo, dal punto di vista della comunicazione, abbiamo visto affermarsi un Movimento 5 stelle capace di dare, comunque la si pensi, il ritmo della sfida a ogni passaggio fondamentale.

Una creatura, quella grillina, che è divenuta in qualche modo trainante in tutti i passaggi politici proprio grazie alla sua capacità di sintonizzazione con molte percezioni sedimentate nella società italiana. Il M5s è stato il perno intorno al quale si sono avvitati tutti gli altri.

Demopolis, ancora sconosciuti candidati

Le altre due grandi coalizioni, quelle del centrosinistra e del centrodestra, sono state invece caratterizzate da una sorta di bipolarismo interno tra una figura di rottura, comunque divisiva, e una “di rassicurazione”.

Il centrodestra ha interpretato queste due parti con lo stile deciso di Matteo Salvini e l’inedita parte di moderatore, riconosciuto anche a livello europeo e dai media internazionali, che è riuscito a ritagliarsi l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Dalle parti del centrosinistra, invece, Matteo Renzi ha scelto un profilo da coach, da motivatore di una squadra e di un Partito democratico messo alla prova da cinque anni di governo, mentre la vera sorpresa del 2017 è stata la capacità dell’attuale premier Paolo Gentiloni di posizionarsi come leader affidabile e come figura di confronto e dialogo.

I segreti del marketing politico 

Dopo il 4 marzo, certo, la politica dovrà fare ancora parecchio per tornare a farsi amare. Ne parla molto bene Alberto Di Maio nel suo ultimo saggio, LovePolitik (edito da Castelvecchi), nel quale vengono descritte con completezza e leggerezza le tecniche e gli strumenti che i politici di oggi hanno a disposizione per provare a generare il loro lovemark, ossia la disponibilità da parte di eventuali sostenitori non solo a sostenere col voto le loro proposte, ma anche a mobilitarsi per convincere altri cittadini, militare in un partito, farsi veri e propri ambasciatori di una causa.

Da comunicatore, è doveroso sfatare un mito: per quante tecniche di diffusione e ottimizzazione del messaggio si possano usare, per quanto si possa aderire al metodo del marketing politico, sarà sempre il “sesto senso” politico ad avere l’impatto più importante nella costruzione del consenso.

Le tempistiche, la prontezza di reazione, la capacità di incapsulare in un messaggio solo (Trump ci riuscì con «Make America Great Again», giusto per fare un esempio recente) una visione più complessa e organica del futuro che sia credibile e convincente non sono risultati che si possono ottenere senza un grande lavoro dei politici su loro stessi.

Vero è, però, che alcune tecniche del marketing, già ampiamente sperimentate dalle aziende nella vendita di prodotti, non possono che aiutare la comunicazione elettorale in questo nuovo contesto, che vede i media rivoluzionati dal digitale e la stessa politica investita da una continua leaderizzazione, dalla crisi dei partiti, dalla fine delle ideologie e soprattutto dall’impatto di una cronaca accelerata. A prescindere da come finiranno queste elezioni, insomma, sappiamo che per vincere ogni attore politico avrà bisogno di un mix accorto di tecnica e di passione.

La vera grande sfida inizia il 5 marzo

Il marketing politico non si gioca solo sul terreno infido e imprevedibile dei sentimenti, ma ha leggi più o meno precise di cui si deve tenere conto nel momento in cui si decide di scendere in politica o di affiancare un candidato in campagna elettorale. La possibilità di fare il grande salto, dalla politics allapolicy come direbbero gli anglosassoni, dipende dalla nostra capacità di persuadere e di presentarci come decisori responsabili e affidabili. Il 5 marzo, finito lo scontro a colpi di manifesti e tweet, inizierà infatti la vera grande sfida: capitalizzare il proprio consenso per realizzare le proprie proposte.

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