Come cambia l’economia del lusso, dall’esclusività alla partecipazione
Il lusso si sa, è un fenomeno soggettivo che ha infinite sfaccettature. Per alcuni il lusso porta alla mente sfarzo, abiti firmati e ostentazione oltre ogni misura.
Per altri, quelli forse più idealisti, lusso significa semplicemente una giornata senza appuntamenti, lontana dallo smartphone e dalle mail del proprio capo.
Secondo il dizionario Treccani, il lusso è lo sfoggio di ricchezza, di sfarzo e di magnificenza: la tendenza a spese superflue e incontrollate per l’acquisto di oggetti che non hanno un’utilità corrispondente al loro prezzo.
Il mercato: boom da 223 miliardi
Se guardiamo ai trend di riferimento, vediamo che è un mercato in continua espansione, con un fatturato da 223 miliardi di euro nel solo 2014, secondo i dati di Bain Worldwide Market Monitor del 14 ottobre 2014.
Negli ultimi 20 anni la base clienti è più che triplicata, passando dai poco più di 90 milioni di consumatori del 1995 ai 330 milioni alla fine del 2013 (10 milioni di nuovi consumatori/anno). Stime accurate prevedono che entro il 2020 il mercato del lusso potrà alzare ancora di più l’asticella, raggiungendo i circa 400 milioni di consumatori che, considerato lo scontrino medio, significa una cifra monstre di oltre 300 miliardi.
Ancora più sorprendente se si considera che questa crescita si è acuita negli ultimi anni nonostante la recessione che ha colpito il mondo occidentale.
Xploring: il settore sta cambiando volto
Tuttavia secondo uno studio di Saatchi & Saatchi dal nome Xploring, un suggestivo richiamo alla tipica attività di ricerca di insight svolta dai planner delle agenzie di comunicazione, il mercato del lusso sta cambiando volto, e non guarda più necessariamente dall’alto in basso.
Un’indagine etnografico-qualitativa, che non pone domande ma conversa con il soggetto in modo da far affiorare gli insight più nascosti e sinceri svolta in otto Paesi nel mondo (Cina, Thailandia, Giappone India, Dubai, Messico, Usa ed Europa), ha sparigliato i miti che credevamo di sapere sul lusso.
Dai risultati dell’indagine risulta che le cinque macro-categorie ritenute un caposaldo assoluto del lusso sono state ribaltate: non più esclusività ma condivisione, non tradizione ma innovazione e progresso, lasciata da parte la rarità per scoprire una voglia di personalizzazione, l’apertura sociale contro il prestigio del marchio che impone le regole e una ricerca di esperienza giocose e rilassanti a fronte di una serietà ritenuta fino a pochi anni fa un vero e proprio caposaldo del lusso.
Dall’economia del lusso all’economia della partecipazione
La rivoluzione è partita dal basso, per merito della diffusione delle mode mainstream, del low cost e delle produzioni mass market. Quella che una volta era l’economia dell’attenzione (esclusiva) sta diventando sempre di più l’economia della partecipazione.
Pensiamo all’evoluzione della mobilità cittadina, con il car sharing: non si tratta solo di un risparmio economico (che c’è ed è evidente, sia nei confronti dei taxi sia delle spese legate al possesso di una macchina) ma soprattutto di una sensazione di comodità, di condivisione e di sostenibilità ambientale. Negli anni ’90 possedere una macchina significava mostrare uno status symbol agli occhi degli altri che i nostri figli difficilmente comprendono, a partire dalla stessa necessità di possedere una macchina.
L’auto ibrida, altro che noia
Secondo Jne Cantellow, Global Planning Director di Saatchi & Saatchi, l’innovazione ha superato la tradizione. «La tecnologia è un lusso quando ci permette di avere subito quello che vogliamo. E Amazon, intuitivamente, annuncia un servizio di consegna tramite droni», spiega.
«Vendiamo soprattutto esperienze!», continua Cantellow, «un esempio: l’auto ibrida è sinonimo di armonia, tranquillità, silenzio, in una parola, di “noia”. Aggiungiamo un po’ di adrenalina: 130 potenziali acquirenti sono stati invitati a provarla con un pilota professionista. Prima del giro tutti hanno indossato un cardiofrequenzimentro: li abbiamo sfidati a mantenere le pulsazioni sotto i 120 battiti al minuto. Soltanto due ci sono riusciti. Altro che noia…».
Ed è per questo che i grandi brand del lusso si stanno spostando verso una ricerca dell’innovazione e una combinazione di prodotti-mercati votati alla creazione di esperienze, come i piaceri della gola.
È forse in quest’ottica che un gruppo del calibro di Lmvh ha comprato Cova per quasi 15 milioni, e Prada si è aggiudicato l’80% di Angelo Marchesi (pasticceria d’eccellenza nata nel 1700) con una proposta da 7,7 milioni di euro, senza parlare della diversificazione operata dal brand Armani con i ristoranti Nobu.
Il lusso si fa dunque più umano e vicino alle persone, ma anche più sostenibile, e i brand sono sempre più alla ricerca di una comunicazione che sia in grado di raccontare l’oggetto dei desiderata delle persona non più come inaccessibile, ma come conquistabile.
Twitter: @gcomin