Giuseppe Conte e la sfida di comunicare da outsider a Palazzo Chigi
di Gianluca Comin
Ci sarà molto da studiare e da sperimentare anche per i comunicatori della politica in questa nuova fase per il nostro Paese. Un premier, Giuseppe Conte, fino a qualche giorno fa sconosciuto non solo alle cancellerie mondiali, ma anche al grande pubblico italiano. Un avvocato, pur di esperienza, che non ha mai avuto esposizione pubblica, non si è mai preoccupato di costruire una reputazione politica e tantomeno di amministratore della cosa pubblica. Un professore che al più avrà partecipato a qualche convegno tecnico in mezzo a colleghi e che si trova a misurarsi con discorsi televisivi, interviste e a confrontarsi con una opinione pubblica esigente e che non fa sconti. Da far tremare le gambe. Da qui una domanda: come si imposta la strategia di comunicazione istituzionale in questi casi?
Giuseppe Conte; a lezione dallo staff
L’attenzione a questo tema è dimostrata, come riportato oggi da Repubblica, dalla sessione di un’ora e mezza organizzata ieri per il professor Conte dallo staff comunicazione del Movimento 5 Stelle, guidato da Rocco Casalino. Dal modo di parlare alla presenza sui social, tutto è in corso di valutazione in queste ore.
La prima differenza fondamentale è la minor esposizione pubblica rispetto a un candidato ufficiale a un incarico, reduce da una agguerrita campagna elettorale. Anche se tale ruolo non è contemplato dalla nostra Costituzione, la figura del “candidato presidente del Consiglio” si è ormai cristallizzata nell’immaginario collettivo degli ultimi due decenni di Seconda Repubblica. Le sfide ricorrenti tra Silvio Berlusconi e Romano Prodi sono entrate infatti nella storia del nostro Paese come competizione a più riprese tra due “alternative di governo” che puntavano a una quota maggioritaria dei consensi.
Questo si è tradotto nel meccanismo, ultimamente più invocato che effettivamente attuato, per cui “conosciamo il premier la notte stessa delle elezioni”. E se invece il presidente del Consiglio incaricato avesse alle spalle una carriera al di fuori della politica?
Lo abbiamo visto nel recente passato con Mario Monti, il professore della Bocconi ed ex Commissario Europeo arrivato a Palazzo Chigi per traghettare il Paese in un momento particolarmente difficile. Noto come tecnico, quando si è cimentato con la costruzione di una immagine di politico è risultato goffo e fuori registro (ricordate la trasmissione televisiva in cui si presentò con un cane). Lo stesso fenomeno si sta riproponendo in queste ore con il prof. Giuseppe Conte: un docente assurto improvvisamente agli onori delle cronache, con tutti i vantaggi e le criticità del caso.
Entrare da outsider in un contesto sfidante come quello politico richiede anche uno sforzo di pianificazione in termini comunicativi: occorre scegliere con attenzione e con l’aiuto di uno staff qualificato i caratteri della propria personalità che si intendono mettere maggiormente in luce e i canali più adatti a diffondere i nostri messaggi.
Per un accademico poco avvezzo all’inseguimento costante dei media, potrebbe essere utile calibrare all’inizio il proprio grado di esposizione. Se guardiamo all’esempio del presidente del Consiglio uscente Paolo Gentiloni, affidarsi a poche uscite di alto livello sui giornali e “lasciar parlare” la nostra attività quotidiana può essere una via per costruirsi un capitale reputazionale basato sulla pacatezza, l’autorevolezza, il senso delle istituzioni.
Giuseppe Conte: l’iperpresenzialismo non paga
Essere iperpresenzialisti in tivù o sui social può infatti diventare un boomerang, perché rischia di inflazionare rapidamente la nostra immagine o di bombardare un pubblico che ci conosce ancora poco con una miriade di messaggi contrastanti.
Meglio allora, come fa il presidente francese Emmanuel Macron, concedersi alla diretta televisiva solo di rado e a intervalli regolari. Può essere più gestibile, almeno all’inizio, parlare a un telegiornale nazionale oppure convocare una conferenza stampa in una location istituzionale per “dare il la” al proprio mandato e settare le aspettative dei media e dell’opinione pubblica.
Anche sui social media è utile procedere in modo strategico: monitorare la Rete alla ricerca di nostri vecchi profili dimenticati (che potrebbero essere passati al setaccio in cerca di informazioni sul nostro passato), attivarne se necessario uno di carattere più istituzionale da aggiornare di frequente e in parallelo alle altre attività di comunicazione.
Anche in questo caso, non giova essere troppo aggressivi o dare l’impressione di voler raggiungere indiscriminatamente un pubblico indifferenziato: meglio prestare particolare attenzione alle foto, pubblicare tweet che non siano fraintendibili o che non si inseriscano inutilmente in polemiche di piccolo cabotaggio, dosare con equilibrio gli account taggati e seguiti.
Guardarsi negli occhi
Infine, l’accreditamento. Più volte abbiamo parlato in questa rubrica dell’importanza di “guardarsi negli occhi” per arrivare con più immediatezza ed efficacia ai nostri interlocutori. Non servono necessariamente i bagni di folla per cementare l’immagine pubblica di un capo del governo. Meglio puntare, almeno all’inizio, su appuntamenti di rilievo o su summit internazionali.
Muovere i primi passi a Bruxelles può essere infatti fondamentale per presentarsi ai partner e alla stampa estera con autorevolezza. Gli incontri di alto livello con i propri omologhi o la partecipazione a un convegno internazionale frequentato dalla business community e dai media sono un’occasione per consolidare la propria immagine.
Infine, le manifestazioni pubbliche: visitare contesti locali o aziende di particolare richiamo, prendere parte ad iniziative sul territorio che si rivolgono alla cittadinanza, incontrare gli amministratori. Possono forse essere percepiti come gesti poco “notiziabili”, ma sono essenziali per proiettare la propria figura al di fuori di Palazzo Chigi.