Moncler sottovaluta l’importanza della reputazione online
Più di 22 mila menzioni, 3 mila tweet in meno di 24 ore, l’hashtag nelle prime posizioni trending topics ancora stabile in classifica, più di 1.800 commenti ai post aziendali su Facebook.
Non si tratta dell’ultima campagna virale targata Coca Cola, ma dei numeri fatti registrare dal caso Moncler nella sola giornata di lunedì 3 novembre, una crisi “improvvisa” che ha coinvolto l’azienda dopo la puntata di Report sull’uso della piuma d’oca per la produzione manifatturiera e che ha provocato un crollo in Borsa del titolo azionario e l’avvio di una vasta campagna di boicottaggio dei noti prodotti di abbigliamento.
Ma la domanda che viene spontanea a un comunicatore di professione che di crisi ne ha dovute affrontare tante è: si poteva evitare tutto questo? Era possibile anticipare la tempesta che ha coinvolto l’azienda di origini francesi, rilanciata con successo da Remo Ruffini?
La risposta è sì, ma c’è bisogno di argomentare per non fare la parte degli italiani che sanno tutto e vaticinano sulle disgrazie altrui.
LE SIMILITUDINI COL CASO BARILLA. Il caso Barilla ha fatto scuola, le sfortunate dichiarazioni di Guido Barilla hanno scatenato un tam tam mediatico, specialmente sui nuovi mezzi digitali e sui social network, che hanno portato il presidente del gruppo a scusarsi personalmente per le frasi pronunciate sulle nozze gay al programma radiofonico La Zanzara e ad avviare un efficace piano di recupero della reputazione che in pochi mesi ha quasi riportato l’azienda di Parma a livelli precrisi.
Ma le similitudini finiscono qui.
Nel caso Moncler, a prescindere dalla veridicità dell’inchiesta, il servizio è stato preparato mesi prima dallo staff di RaiTre, e l’azienda è stata sicuramente interpellata dalla giornalista per rispondere nel merito.
Moncler era dunque a conoscenza del potenziale rischio reputazionale in cui sarebbe potuta incappare eppure è sembrata impreparata all’evento, come un pugile che prende un pugno inaspettato. Il titolo in Borsa ha perso il 4,9% nella sola giornata di lunedì 3 novembre e le conseguenze, non solo finanziarie, si faranno sentire a lungo.
L’azienda, oltre a non aver voluto partecipare alla trasmissione, il giorno successivo ha messo la testa sotto la sabbia, aggiornando il proprio sito web con una schermata che sottolinea la provenienza certificata della piuma d’oca.
La comunicazione online è 1.0: niente social, solo una schermata fissa sul sito.
REPUTAZIONE ONLINE, MONCLER IMPREPARATA. Ho parlato più volte in questa rubrica Spin Doctor dell’importanza della reputazione come intangible asset nella gestione dell’immagine di marca e della necessità di mettere in atto preventivamente tutte le azioni necessarie a creare un cuscinetto di valori, azioni e impegni che attutiscano la caduta quando inevitabilmente questa avviene.
La diffusione della comunicazione digitale e l’avvento dei social network non hanno di per sé generato un incremento del rischio in materia di reputazione.
I rischi ci sono oggi, come ci sono sempre stati in passato; i nuovi strumenti e le nuove forme di comunicazione, però, hanno reso visibili eventi che una volta sarebbero passati sotto silenzio, ne amplificano la portata diffondendosi ad una velocità incredibile e superando anche i confini linguistici.
Oggi un piccolo incidente è in grado di generare conseguenze negative sul modo in cui gli stakeholder percepiscono l’azienda, in virtù della molteplicità e interconnessione dei canali mediatici. Basta un caso sollevato da un singolo cliente per creare un effetto rilevante sul valore dell’azienda, grazie alla funzione di risonanza svolta dalla Rete, generando un incontrollabile effetto a valanga.
In Italia, la maggior parte dei manager guarda con grande attenzione alla prevenzione e gestione dei rischi rilevanti per il business, ma non ha ancora sviluppato un’analoga sensibilità per i possibili impatti che questi rischi hanno sulla reputazione.
Non si lavora abbastanza per cogliere in anticipo i segnali e per lavorare alla costruzione di una reputazione solida in grado di bilanciarne il possibile impatto negativo.
CHIUDERSI A RICCIO NON SERVE A NULLA. Cosa bisognava fare? Prevenire, intanto, con un audit accurato dei possibili rischi e mettendo in atto azioni conseguenti di protezione attraverso alleanze e piani di comunicazione adeguati.
Quando, poi, vieni a conoscenza che la tempesta sta per arrivare è necessario implementare immediate azioni correttive affinché i consumatori siano pronti e predisposti positivamente nei confronti dell’azienda.
È ineludibile poi la costituzione di una struttura social media organizzata e operativa che monitori tutte le conversazioni sul marchio e sia pronta a rispondere alle critiche, a precisare laddove ci fossero affermazioni non corrette, a chiarire punti controversi.
È imprescindibile, tanto più per una società mass market quotata in borsa.
Tanto più per una società mass market.
Ora è tempo di ricostruire reputazione e immagine, anche coinvolgendo dipendenti e clienti in una campagna di testimonianza.
Poco vale chiudersi a riccio nelle solite minacce di azioni legali.