Il dibattito Twitter sul ruolo degli spin doctor
«E se, disintermediando disintermendiando, fosse divenuto superato lo spin doctor? Una provocazione». Il tweet di @Nomfup compare poco prima dell’ora di pranzo di un sabato agostano ed è subito dibattito. Nomfup (Not my fucking problem, dalla celebre serie tv inglese The Thick of it) è il nickname di Filippo Sensi, ora deputato Pd, ma celebre spin doctor del Matteo Renzi della rottamazione e del 40% delle Europee del 2014. Filippo lancia il sasso («Riflettevo sui tempi che siamo e sul ruolo (e la responsabilità, claro). Lo spin doctor è diventato come il fax?») osservando la piega che ha preso la politica italiana (e non solo) rappresentata da leader che tra dirette facebook, tweet, battute e selfie non solo disintermediano i mezzi di informazione tradizionali (che pigramente si adeguano e rilanciano sempre in ritardo sulla realtà), ma anche i loro comunicatori che sembrano sempre di più dei “porta-smartphone” dal quale riprendono i loro capi, piuttosto che dei porta-parola alla vecchia maniera.
IN RETE È DIBATTITO
Il Sensi pensiero scalda subito la rete dei professionisti e degli appassionati di comunicazione politica e il dibattito va avanti per ore, con toni mai aggressivi o polemici, quasi una sorta di oasi nel mondo social a cui siamo abituati. Le posizioni comunque sono nette e in molti ci mettono la faccia, non solo i “taggati” da Sensi. «Lo spin doctor è un ruolo in evoluzione costante da decenni, ed evolve con modalità diverse a seconda del territorio. Rimango fermamente convinto che lo spin senza tecnica possa essere efficace, mentre se assumi Cambridge Analytica ma non sai che dire finisci presto e male», commenta Giovanni Diamanti, giovane analista di Quorum che aggiunge «sicuramente però lo spin anglosassone o lo strategist americano “à la Carville” sono superati, oggi servono figure più ibride circondate da tecnici che sappiano adattarsi velocemente alla politica veloce».
POSIZIONI DIVERSE E COMPLESSE
Francesco Nicodemo, responsabile dei social del governo Renzi, «Cmq ti devo una risposta seria. La comunicazione è Politica. E Politica significa occuparsi di ciò che è altro da te. Senza il neoumanesimo la tecnologia è come la magia di Eduardo. Solo fumo». Stefano Di Traglia, spin del Pierluigi Bersani dei tempi d’oro: «Ci vuole il tattico e lo strategist». Nunzia Penelope, giornalista: «Non so, non sono del ramo, ma leggendo la marea di idiozie dilaganti direi che o sono rinscemiti tutti gli spin, oppure ne mancano, e ce ne vorrebbero». Antonio Barone, comunicatore del WWF e già nel team del verde Pecoraro Scanio: «Controprovocazione… ma la disintermedizione è davvero reale? Oppure è una strategia che qualcuno gestisce in funzione di uno scopo?». Marco Bardazzi, chief communication di Eni, «Meno spin, più produzione di contenuti di qualità. Meno pr, più media production. Meno chiacchiere, più ingegneri e data analyst che si contaminano con chi sa raccontare storie. Ma tutto questo funziona solo se prima hai un’idea politica e un po’ di amore per il bene comune».
PER VELARDI CE N’È PIÙ BISOGNO DI PRIMA
Mario Rodriguez, storico comunicatore politico: «Bisogna mettere al centro il modo in cui chi riceve messaggi li rielabora nella loro forma di vita trasformandoli in comportamenti. Di questo devono essere consapevoli sia i politici sia i loro collaboratori. Ma prima, complessificando più che disintermediando, dovremmo intenderci su cosa sia stato mai (se ci sia stato e dove?) e cosa mai possa essere lo spinning. Certo ci sarà sempre più bisogno di intelligence che matura all’esterno dello specifico campo politico». Claudio Velardi, già spin del D’Alema premier alla fine degli Anni 90: «E se fosse vero il contrario? Forse più di prima i leaders inebriati dalla disintermediazione avrebbero oggi bisogno di gente che li riporti alla realtà, senza esaltarli e lisciargli il pelo…». Rossella Rega, comunicatrice pubblica di grande esperienza assicura che “certamente la vecchia figura di consulente politico non è più sufficiente, lo spin doctor di oggi dovrebbe avere competenze diversificate, funzionamento algoritmi, strategie di persuasione, comunicazione digitale, comun. politica. È una questione interessante e da approfondire».
UN WORKSHOP PER IL RILANCIO?
Antonio Palmieri, “padre” delle strategie digitali di Forza Italia lancia una proposta: «Si può sempre organizzare un workshop a Inviti, con regole di discussione concordate prima e chiarezza delle domande alle quali provare a rispondere…». Patrizio Caligiuri (Cnel): «Sai che invece secondo me il punto è riflettere sul ruolo degli staff nel loro complesso? Servono competenze articolate e diversificate, senza puoi imbroccare l’onda buona ma poi finisce e anneghi. Alla lunga la squadra è determinante». Michelangelo Suigo, che dopo Vodafone è ora vice president dei government affairs di Leonardo, si chiede: «E se fosse proprio questo il momento per rilanciare il ruolo e la figura dello spin doctor, con una formazione ad hoc che lo renda attuale? Per acquisire digital skills (algoritmi e big data su tutti), ma non solo. Da approfondire». Tra proposte e puntualizzazioni, emerge chiara la necessità di individuare, se non un metodo, almeno una piattaforma comune sulla quale (ri)costruire la figura dello spin doctor alla luce delle evoluzioni più o meno positive dello scenario social(e). Fabio Bistoncini, che non a caso si firma su Twitter come @Sporcolobbista, sembra perplesso: «A me basterebbe capire se e come si ci sono le condizioni per la (ri)costruzione del dibattito pubblico…». Non manca l’ironia, sana, di Stefano Menichini, capo della comunicazione della Camera: «Caspita che discussione. Mentre io stavo dove sta il popolo: in autostrada».
PIÙ CHE SPIN DOCTOR, SERVONO AMMINISTRATORI CAPACI
Anche noi di Comin&Partners, chiamati in causa da Sensi, non ci tiriamo indietro. E così Gianluca Comin sostiene che «alla lunga se il leader politico è impegnato a parlare, chattare, selfiare con ciascun elettore più che spin doctor servono persone che facciano andare le macchine ministeriali». E Lelio Alfonso ammonisce: «Così come la politica ha dimenticato il senso della formazione, la comunicazione politica semplifica all’eccesso il messaggio, come in una bolla speculativa senza fondamenti tecnici. Confidando nel parco buoi del consenso a prescindere». Un protagonista dello scenario politico attuale, Augusto Rubei, neo spin di Luigi Di Maio, non ha dubbi: «La mia: c’è necessità di altre figure, con competenze più tecniche, come ha già suggerito qualcuno. Ma distinguerei la macchina dallo spin». Pietro Raffa, blogger su Espresso e Huffington Post, è ottimista: «My 2 cents: se cerchi di mantenere consenso non dico nel lungo, ma nel medio periodo, con gli strumenti di oggi – utili, ma anche potenzialmente deleteri – lo spin doctor diventa ancora più importante. P.s. aggiungo che gli algoritmi, nei fatti, reintermediano». Insomma, i 280 caratteri non limitano il dibattito né tantomeno la voglia di confrontarsi in un caldo sabato d’agosto. E, anzi, Velardi lancia l’idea di riparlarne a settembre, in modo strutturato. Come giusto, a chiudere il dibattito, almeno per il momento, è lo stesso Nomfup, che a fine serata, soddisfatto, chiosa: «Grazie a tutti per la pazienza e la cortesia sul tema della fine (o meno) dello spin doctor. Punto fermo: ne parliamo presto, al rientro. Poi ho capito che non è finito, ma si (deve) trasforma(re) e che la squadra è tutto. Ah, che i generalisti ancora se la cavano».
di Gianluca Comin e Lelio Alfonso