Proteste e social media… non solo black bloc
È ancora vivo il dibattito sulle proteste milanesi, che hanno approfittato della visibilità dell’inaugurazione di Expo 2015, ma in pochi si sono interrogati sul risvolto comunicativo che le proteste portano con sé.
In una società definita come la «società dei movimenti», la comunicazione riveste un ruolo importante nell’ambito della libertà di espressione e dell’esercizio della protesta politica e sociale.
La diffusione di internet ha reso possibile la creazione di mezzi alla portata di organizzazioni con poche o nessuna risorsa, in grado di presentare senza filtri la propria protesta e le proprie rivendicazioni. I social media hanno accorciato ancora di più lo iato tra i protestanti e gli organizzatori della protesta, rendendo di fatto superfluo il ruolo dell’organizzazione stessa nei flussi comunicativi.
LA LOGICA MEDIA-MOVIMENTO. Ma quali sono le logiche di interazione fra media e movimenti di protesta, civili e non? Secondo Porta e Diana (I movimenti sociali, 1997), i movimenti antagonisti ricorrono sostanzialmente a tre logiche per catturare l’attenzione dei media:
La logica dei numeri, che riguarda eventi o manifestazione che coinvolgono un numero di partecipanti così elevato da attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, sempre alla ricerca di notizie ad alto impatto per il cittadino-consumatore.
La logica della testimonianza, che attrae i mezzi di informazione perché il movimento si investe in maniera totale nella causa perpetrata, fino ad essere disposto a subire dei costi estremamente elevati per essa. Pensiamo alle proteste di Greenpeace, i cui attivisti si sono incatenati agli alberi per evitarne l’abbattimento, o ai numerosi scioperi della fame di Pannella.
La logica del danno materiale, dove la violenza e lo sconto con le forze dell’ordine è spesso il fil rouge che muove queste forme di protesta. Questa tipologia, nonostante sia ormai condannata dalla maggior parte degli organizzatori delle manifestazioni stesse, continua a rappresentare una forma significativa di protesta organizzata.
IL CASO DEI NO EXPO A MILANO. Pensiamo a quello che è successo venerdì primo maggio a Milano grazie all’unione tra casseurs, black bloc e qualche figlio di papà italiano, per citare Matteo Renzi.
Il timing della protesta meneghina, dal punto di vista antagonista, è stato comunicativamente e operativamente sbagliato. Il 30 aprile è andata in scena una protesta semi-civile, che ha visto l’uso di fumogeni e qualche bomboletta spray di troppo, ma nessun messaggio ha veramente bucato.
Il giorno dopo, invece, la protesta ha degenerato nella violenza che abbiamo visto e ha cancellato con un colpo di spugna le posizioni portate avanti dai No Expo, come la lotta alle multinazionali main-sponsor dell’evento, la corruzione degli appalti o la colata di cemento che è servita per costruire le infrastrutture. Inoltre, i black bloc hanno avuto il “merito” di compattare un’intera città, se non addirittura una nazione, intorno all’esposizione universale, rilanciandone il consenso anche non razionale.
Ma nonostante il “fallimento” della protesta nei suoi obiettivi primari, i media nazionali e internazionali (soprattutto online) per due giorni non hanno fatto altro che parlare del corteo.
L’agenda si è settata in automatico sulla violenza e sulla reazione civile, nonostante l’inaugurazione di Expo, l’approvazione dell’Italicum alle porte e la bocciatura della Consulta che obbligherà il governo a trovare un pacco di miliardi di euro per risarcire i pensionati. E l’onda lunga delle notizie sugli avvenimenti sembra non essere ancora finita.
INTERNET E L’ADVOCACY. I nuovi media, in questo e in molti altri casi, non sostituiscono ma amplificano e allargano il raggio di azione dei movimenti antagonisti sulla scena mediatica, che deve tuttavia continuare a fare i conti con l’egemonia dei canali mainstream come televisioni e testate giornalistiche.
Internet svolge una funzione logistica e organizzativa di primo piano, in grado di ridurre i costi organizzativi delle manifestazioni. Inoltre ricopre una funzione informativo-cognitiva che aiuta a sensibilizzare l’opinione pubblica e la diffusione dei messaggi portati avanti dalle organizzazioni antagoniste. Ma c’è un terzo aspetto che internet e i social media hanno reso possibile: l’advocacy. I fenomeni grassroots, le proteste spontanee (soprattutto civili) e i movimenti dal basso sono stati in largo modo resi possibili dalla Rete.
Grazie alle potenzialità del web i movimenti sono in grado di tutelare gli interessi dei più deboli nei confronti delle grandi organizzazioni, private e pubbliche, che commettono violazioni nei confronti dei diritti dei cittadini.Ma sono anche in grado di agire e interagire virtualmente, come dimostra il fenomeno Change.org e gli altri portali di petizione online. Movimenti come Podemos, Occupy Wallstreet, Keystone XL o la Primavera Araba hanno fatto della capacità di fare Rete e dello sfruttamento dei digital media la propria forza corrosiva, al di là di ogni barriera e controinformazione.
Il corteo No Expo, durante il quale sono state distrutte 27 auto, danneggiati 12 negozi e feriti 11 uomini delle forze dell’ordine, passerà invece alla storia come una delle più infondate proteste della storia recente, per cui è inutile cercare un senso mediatico e comunicativo a un movimento che non è stato in grado di generare alcun significato.