Coi social network basta il 3,5% della popolazione per boicottare un governo
Keystone XL è un oleodotto nordamericano progettato dalla compagnia canadese TransCanada, in grado di trasportare fino a 830 mila barili di bitume (al giorno) destinati a essere convertiti in petrolio grezzo.
La parte meridionale dell’oleodotto, che arriva fino al golfo del Messico, è già operativa, così come una prima versione di quella settentrionale che risulta però poco efficiente dal punto di vista logistico, partendo dal Canada e attraversando numerosi stati del Midwest.
La nuova versione proposta dalla compagnia, denominata Keystone XL, è più breve e rettilinea, ma ha bisogno di un’autorizzazione particolare del governo americano.
BLOCCATA DALLA PROTESTA. La realizzazione della pipeline era prevista per il 2015, ma nonostante il favore positivo del 73% dei cittadini nordamericani, è stata bloccata dai movimenti di protesta.
Un’analisi dettagliata ha mostrato come l’atteggiamento del governo degli Stati Uniti sia passato in poco tempo dal sostegno generale e diffuso (corroborato dai sondaggi), all’esitazione parziale, fino a un veto totale, nonostante il largo sostegno della popolazione e decine di milioni spesi in lobbying e comunicazione da parte del settore.
Il cambiamento è avvenuto grazie ai movimenti antagonisti e alla loro capacità di utilizzare in maniera intelligente i social network.
Una situazione non molto diversa da quella del Tap, la pipeline del gas che dovrebbe approdare in Puglia.
GUAI A CERCARE DI BATTERLI. La nascita di movimenti sociali grazie alle reti digitali è uno tra i fenomeni più interessanti degli Anni 2000, perché queste realtà, per quanto irrilevanti o marginali possano sembrare agli occhi dei decision maker, sono in grado di influenzare radicalmente il processo di creazione del consenso.
E in questo contesto serve a poco arrivare a uno scontro diretto, né tantomeno tentare di neutralizzarli, perché presto o tardi si finisce per soccombere. La regola numero uno è non cercare in alcun modo di sconfiggerli.
BASTA IL 3,5% DEI CITTADINI. Erica Chenoweth, studiosa di lotte e resistenze civili, ha analizzato il successo dei movimenti sociali che si sono costituiti contro i regimi dal 1900 al 2006.
Scavando tra i dati, la Chenoweth è riuscita ad aggiornare la soglia minima di partecipazione richiesta per il rovesciamento dei governi oppressivi.
Non si tratta del 50+1%, né del 20% o del 5%, ma basta «la partecipazione attiva e sostenuta» del 3,5% dei cittadini per creare una rivoluzione vincente ed efficace.
CON CHANGE.ORG È FACILE. Ora, considerate quanto nell’era dei social network sia facile ottenere il 3,5% della popolazione a favore di una protesta.
Un sito come Change.org, che abitualmente mobilita l’opposizione nei confronti di progetti di grandi corporation e governi politici, conta oggi oltre 100 milioni d’iscritti. Nella maggior parte dei Paesi questo numero basterebbe per raggiungere la soglia del 3,5%.
RAZIONALITÀ DEI POLITICI… La ragione alla base delle vittorie dei social movement va ricercata nelle motivazioni.
Gran parte degli amministratori, pubblici e privati, cercano di spiegare i progetti infrastrutturali con motivazioni logiche (l’investimento sul territorio, la creazione di posti di lavoro, l’innovazione tecnologica, l’opportunità di sviluppo attraverso nuove infrastrutture).
Altrettanto razionali sarebbero le motivazioni con le quali gli stakeholder smontano tali argomenti, come il timore per la salute e l’ambiente su progetti che non conoscono o sui quali non hanno gli strumenti per comprendere.
… O EMOTIVITÀ DEI SOCIAL? Tuttavia non è questo il terreno di scontro sul quale giocano questi movimenti organizzati.
Gli “antagonisti” si muovono a un livello più alto della razionalità, che è quello dell’emotività. Cercare di combattere un valore emotivo è complesso, poiché qualsiasi ragionamento logico risulterà sempre più vuoto e fallibile rispetto alla forza di un valore trainante.
LE AZIENDE SI ALLINEANO. Recentemente, le aziende hanno iniziato ad allinearsi in modo esplicito con questi movimenti sociali, in particolare intorno alla lotta contro il cambiamento climatico.
Il We Mean Business è una coalizione di organizzazioni che lavora con migliaia tra le più influenti aziende e investitori del mondo, tra le quali multinazionali del calibro di Unilever, Nike e Ikea. Queste corporation riconoscono come la transizione verso un’economia a basse emissioni sia l’unico modo per garantire una crescita economica sostenibile e una prosperità diffusa.
Strumenti come il Debat public e il coinvolgimento dal basso, il fenomeno dei netroots in America, dovrebbe insegnare come relazionarsi a questi movimenti. L’ascolto, la discussione, a volte anche accesa, ma sempre inclusiva, aiutano la protesta a diventare proposta e a costruire qualcosa di concreto, senza spegnersi in mera distruzione.