Big data e politica: quattro regole per avere successo
Ci sono molti motivi per cui una campagna politica può non andare a buon fine: il carisma del leader, il supporto dell’opinione pubblica, senza considerare la possibilità che si scatenino scandali e crisi di comunicazione.
Ma in uno scenario in evoluzione sempre più rapida c’è un altro fattore, forse ancora un po’ sconosciuto dalla politica italiana, che diventa sempre più cruciale per la riuscita di grandi progetti elettorali: è la professionalità dei comunicatori nella gestione dei big data.
Italia nella preistoria comunicativa dei big data
Un mondo sempre più interconnesso e social – always on – fornisce, infatti, mai come prima d’ora una mole enorme di dati utili ai politici che vogliano monitorare il sentiment degli elettori e modulare i messaggi a seconda dei pubblici di riferimento. Ma, per cogliere queste opportunità, c’è bisogno di un supporto strategico da parte di professionisti in grado di progettare ogni dettaglio della campagna dei candidati.
Una premessa è d’obbligo: molto è stato fatto dalla politica italiana, con l’avvento di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, l’evoluzione comunicativa di Matteo Renzi supportata dal numero uno degli spin doctor Filippo Sensi, o l’ascesa del segretario della Lega Nord Matteo Salvini, del cui staff di comunicazione si sa ancora poco.
Protagonisti che stanno cambiando il modo di fare politica, almeno elettorale, cui siamo abituati. Tuttavia siamo ancora alla preistoria rispetto al mondo anglosassone.
Utilizzo dei Big data: il punto di riferimento è Obama.
Per riuscire a capire di cosa stiamo parlando dobbiamo guardare alle campagne elettorali americane, innovative e in grado di sfruttare a pieno nuovi strumenti di marketing: non il mero utilizzo di database profilati per l’invio di newsletter mirate, ma una gestione efficace dei Big data, in grado di profilare gli utenti con una precisione impensabile fino a qualche anno fa.
La campagna di Obama del 2012 è il punto di riferimento: gli elettori non vengono più divisi per categorie socio-demografiche – gli uomini, le donne, i giovani – ma la targetizzazione arriva al livello di dettaglio tale da consentire di tracciare un profilo del singolo individuo, valutandolo secondo i propri gusti e le proprie abitudini.
A che serve big data?
Per fare previsioni a livello individuale si sono incrociati centinaia di variabili: i dati sui consumi commerciali e quelli di voto, i comportamenti sui social network e le attività svolte nella precedente campagna.
Nel caso di Obama, i modelli di microtargeting hanno consentito di individuare gli elettori più probabilmente democratici, cioè quelli da ricontattare per invitarli a votare. Così come di identificare, fra le persone non registrate come elettori, quelle che più verosimilmente potevano essere democratiche.
Si tratta di un’attività cruciale, soprattutto in un periodo di bassa affluenza al voto, nel quale più che cercare di convincere gli avversari è necessario portare al voto i propri sostenitori.
Bisogna progettare la raccolta dati nei periodi non elettorali
Tuttavia, secondo il consulente di Pubblic relationship e comunicazione politica Chris M. Rougier, nonostante i partiti anglosassoni si stiano ingegnando nell’utilizzo di nuove tecniche, i fallimenti di alcuni progetti di big data analysis in campo politico hanno evidenziato un vero e proprio deficit di capacità.
Parliamo degli esperimenti dei conservatori in Canada con il progetto C-Vote, del Progetto Merlin in Gran Bretagna o la campagna di Romney, proprio contro Barack Obama.
Ci sono una serie di motivi alla base del fallimento di questi progetti.
Per il successo nell’uso dei big data in politica la competenza è tutto
La maggior parte delle ragioni ruotano attorno a tre elementi: le finalità dei progetti, la leadership e il budget.
Questi tre elementi si possono riassumere in una regola chiave: il successo alle elezioni è legato alla progettazione durante i periodi non elettorali, un principio che sebbene venga compreso, non sempre viene messo in pratica dai candidati.
Fino a non molto tempo fa i partiti erano portati avanti da un organico di volontari permanenti gestiti da un piccolo gruppo di professionisti retribuiti.
Tuttavia, mentre le competenze richieste sono cambiate e in continua evoluzione, il mercato da cui questi professionisti sono scelti è sempre lo stesso. A causa di fattori quali le relazioni personali e la fiducia, gli staff che si succedono alla guida delle campagne elettorali sono spesso gli stessi.
Il problema è che la gestione dei big data, per la profilazione e l’analisi del bacino elettori, richiede competenze disruptive che i vecchi lupi di mare della consulenza politica non sono più in grado di gestire, ma spesso neppure di comprendere.
Quattro step per avere successo:
Ci sono una serie di elementi chiave che devono essere compresi dai partiti e dai candidati per ridurre il rischio di fallimento dei grandi progetti che coinvolgono l’utilizzo dei big data.
1- Serve un occhio esterno. Fin dall’inizio, il progetto deve essere supervisionato con gli occhi critici di un professionista esterno, uno sguardo in terza persona nella gestione del processo, prima e dopo la campagna elettorale.
2- Definizione precisa degli obiettivi. Bisogna definire la missione e l’ambito di analisi all’inizio del processo. Quando si analizzano migliaia di dati è fondamentale sapere dove si vuole andare. Questa prontezza nella definizione degli obiettivi fa risparmiare tempo e denaro lungo la strada.
3- Attenzione alle fasi intermedie. I processi di medio termine hanno bisogno di un costante feedback fra i due principali attori del progetto: chi comprende gli aspetti politici e chi domina gli aspetti tecnici.
4- Attenti al budget. Progetti di questo tipo sono costosi. Anche un progetto limitato costerà molto più rispetto a quello che i politici possono immaginare. Ma la consapevolezza iniziale dell’impegno può ridurre il rischio di fallimento del progetto e consentire l’attivazione di sinergie che ne permettano di diminuirne l’impatto, ad esempio utilizzando il database a scopi di fundraising.