Dopo la pandemia avremo un mondo migliore?
“La comunicazione in situazione di crisi è capacità di previsione, è reazione tempestiva, è coerenza nei messaggi e trasparenza nelle azioni. Richiede competenze professionali e abilità nel comprendere il contesto sociopolitico in cui si opera. […] come per altri segmenti della vita aziendale, richiede professionalità ed esperienza, training e multidisciplinarietà”
Per la rubrica “A colloquio con”, KPMG ha intervistato Gianluca Comin, Fondatore e Presidente di Comin & Partners, per approfondire come in questa delicata fase, in cui il mondo appare “capovolto” dalla crisi COVID-19, dosare il linguaggio per definire messaggi chiari e coerenti può assumere un valore decisivo per sgombrare le paure e riaccendere il motore produttivo del Paese.
Dott. Comin, l’impatto tremendo della pandemia COVID-19 è stato, per usare un’espressione di Alessandro Baricco, una sorta di crash test per la nostra civiltà. Tutto il corpo collettivo, istituzioni, politica, imprese, cittadini è stato ed è chiamato a reagire. Quali sono le responsabilità della comunicazione in situazioni eccezionali come questa?
La comunicazione sia istituzionale sia d’impresa ha avuto e sta avendo un ruolo importante e di grande responsabilità. Attraverso il supporto di una serie di messaggi coerenti e l’utilizzo di strumenti sofisticati di comunicazione, è stato possibile, in un periodo così complesso, convincere le persone a stare in casa, i dipendenti a lavorare in smart working e rassicurare i lavoratori e le imprese che hanno subito un drammatico crollo delle risorse economiche.
Abbiamo assistito, non solo in Italia, al più massiccio e coordinato piano di comunicazione sociale mai sperimentato dal dopoguerra. Piano che ha utilizzato le piattaforme broadcasting tradizionali, i media di tutti i tipi, ma anche i social network, e che ha coinvolto non solo le istituzioni, ma anche testimonial riconosciuti dalle persone come opinion leader e influencer. #Stiamoacasa è stato il claim utilizzato da tutti, personalmente o in via organizzata, ed ha funzionato. Anche le istruzioni per difendersi dal virus (lavarsi le mani, usare la mascherina, il distanziamento) sono state un caso di comunicazione istituzionale di grande successo.
Come spiega molto bene nel suo ultimo interessante lavoro (Manuale di comunicazione integrata e reputation management, ed. Luiss University Press n.d.r.) crisis management e comunicazione di crisi sono universi che si intersecano. Possiamo spiegare in che senso e a cosa può servire questa disciplina per affrontare uno sconvolgimento che appare, per molti aspetti, più grave rispetto a quello che abbiamo vissuto e sperimentato nel 2008?
Viviamo in una società mediatica in cui la reputazione è un bene fondamentale della vita dell’impresa. La comunicazione, dunque, diventa un asset strategico di difesa e rafforzamento del valore dell’organizzazione. Tuttavia non può essere uno strumento tattico da usare quando tutto è quasi perso e abbiamo i riflettori dell’opinione pubblica puntati addosso.
La comunicazione di crisi è capacità di previsione, è reazione tempestiva, è coerenza nei messaggi e trasparenza nelle azioni. Richiede competenze professionali e abilità nel comprendere il contesto socio-politico in cui si opera. Insomma, come per altri segmenti della vita aziendale, richiede professionalità ed esperienza, training e multidisciplinarietà. Per questi motivi, la comunicazione è fondamentale nel corso di una pandemia. Questa è in grado di mitigare gli animi di chi vive la crisi, indirizzare i cittadini nella azioni necessarie da intraprendere e mantenere la reputazione delle aziende coinvolte. Chi comunica, inoltre, deve essere una spokesperson riconosciuta e credibile, che ispiri la fiducia dei propri interlocutori per far sì che il messaggio venga trasmesso e interiorizzato al meglio.
Anche per le imprese non è stato facile metabolizzare lo stop, comunicarlo ai dipendenti e interfacciarsi con il mercato. L’azienda come deve affrontare una situazione di questa natura in termini di strumenti, linguaggi, iniziative?
In casi come questi le persone sono più attente alla comunicazione e all’informazione e sono più critiche e più sensibili. Le aziende prima di tutto devono rivolgersi ai loro collaboratori con maggiore frequenza, semplificare i messaggi al fine di far sentire ciascuno parte di una missione utile e comune. Dobbiamo essere trasparenti e con onestà dire ciò che sappiamo (magari facendoci aiutare da testimonial autorevoli), ma anche ciò per il quale non abbiamo ancora le risposte giuste.
Dobbiamo essere coerenti: se iniziamo un dialogo con i collaboratori non possiamo interromperlo dopo la prima comunicazione. Dobbiamo sapere che in queste situazioni le persone soffrono l’incertezza e quindi sono più ansiose del normale. L’ansia genera paura e chiusura, sconforto e impotenza. Dobbiamo stare vicini ai nostri
collaboratori.