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Vincitrici Riluttanti. Le Città Dopo La Pandemia

Vincitrici riluttanti. Le città dopo la pandemia

di Paolo Manfredi

Aggiustando il fuoco del cannocchiale dopo aver raggiunto una minima ma sufficiente distanza, si può oggi affermare che la notizia della morte delle città dopo la pandemia è, come quella della morte di Mark Twain, «grossolanamente esagerata».

La crisi pandemica pareva aver messo in discussione il trionfo del modello urbano nel Secolo delle città, ma il travaso di popolazione dalle città, costruite su una prossimità divenuta minaccia e con un trade-off sempre meno positivo tra costo della vita e la sua qualità, non ha nei fatti avuto luogo, se non per sparute minoranze di nomadi digitali. Sta anzi, e con crescente forza, continuando il movimento contrario, con un ulteriore svuotamento della provincia e delle aree interne in favore delle città, come da recenti proiezioni ISTAT sulla popolazione italiana al 2040.

Troppo forte è la trazione della concentrazione di capitale umano, risorse e competenze, il propellente dell’economia immateriale, agglomerate nelle città, che le rendono sempre più il luogo «dove accadono le cose». Alla presenza strategica di «risorse per il futuro» le città uniscono la maggiore dotazione di servizi sociosanitari «per il passato», necessari ad un Paese in rapido e pressoché inarrestabile invecchiamento. Non si tratta di peculiarità italiane, tutto l’Occidente sta invecchiando e tutto il mondo si sta progressivamente inurbando, ma di flussi globali che nel nostro Paese si intersecano con caratteristiche (la Provincia come polmone culturale ed economico oggi appannato) e criticità (su tutte la questione Meridionale), per le quali un perdurante travaso di persone e risorse dal contado alla città rappresenta anche un segno di declino, almeno dell’Italia come l’abbiamo pensata.

Se Atene (il contado) piange, Sparta (le città) però non ride, pur a fronte della manifesta superiorità, perché il peso della vittoria è gravoso e mal distribuito. Un recente contributo di Ezio Micelli ed Eleonora Righetto evidenzia come negli ultimi dieci anni, attraverso la crisi finanziaria prima e sanitaria poi, si sia stratificata e consolidata una tripartizione fra le città metropolitane italiane lungo gli assi principali (valori immobiliari, demografia, capitale territoriale) che misurano la vitalità socioeconomica dei centri urbani e che evidenzia le fratture territoriali del Paese, al di là di quella storica Nord-Sud. Nel gruppo di coda, con valori immobiliari in declino e calo demografico, non ci sono solo le aree metropolitane del Mezzogiorno, ma anche le più periferiche del Nord, Genova e Venezia. Tra il Centro e Torino vi è un drappello di aree metropolitane con valori medi, dove città in declino (Roma) convivono con città con ottime prospettive (Bologna e Firenze). Milano anche qui fa cluster a sé, città outlier che cresce in tutti gli indicatori, anche se un recente articolo de «Il Sole 24 Ore» evidenzia come la concentrazione di risorse (quasi la metà, 5 miliardi di € su 11,7, degli investimenti immobiliari in Italia nel 2022 si sono concentrati a Milano) sia sempre più chiaramente indice di una città vieppiù inaccessibile per il ceto medio.

Da un lato dunque vi sono aree metropolitane che condividono e rispecchiano le crisi di ruolo e prospettive delle rispettive macro aree e dei territori circonvicini, dall’altra vi è l’assoluta best performer italiana, che soffre di evidente crisi di gestione delle esternalità connesse a processi di sviluppo e trasformazioni urbane rapide, violente, contraddittorie.

Un dato che accomuna le città e le rende vincitrici riluttanti e senza gioia è infatti la sensazione che manchi in ognuna di loro una reale visione strategica di sviluppo, una meta e un senso attuale e prospettico di ruolo. Non si tratta di un dato partitico, quanto di un vero e proprio spirito del tempo, in cui nell’amministrazione si sogna e si progetta sempre di meno. In luogo dei pensieri lunghi della strategia si preferisce la scorciatoia del boost promesso dai grandi eventi o dagli interventi «a soggetto» su mobilità e abitabilità, comunicabili ma raramente trasformativi.

Compendio del policymaking senza passione riformatrice, il PNRR ha previsto alla Missione 5 (Inclusione e coesione) risorse rilevanti per i progetti di rigenerazione urbana e riqualificazione abitativa delle aree urbane, per la gran parte finiti sotto la tagliola del definanziamento in favore di altre misure. I Comuni virtuosi hanno a ragione lamentato lo stop a cantieri in molti casi già aperti, mentre molti dei progetti non sono partiti. Forse, dati i tempi e la natura del PNRR stesso, migliaia di progetti estremamente eterogenei di rigenerazione urbana, affidati a enti la cui capacità esecutiva è sommamente disomogenea, abbisognavano veramente di strumenti diversi, che magari diano corpo a progetti ambiziosi sul futuro delle città, che è poi gran parte del futuro del Paese.

Penso alla possibilità di allargare i confini angusti del policymaking comunale e spesso anche delle aree metropolitane, dove non sono rimaste astrazioni burocratiche, immaginando ad esempio dove possibile di integrare aree metropolitane in progetti di cooperazione funzionale ed economica necessari a competere globalmente o di valorizzare l’integrazione semi-consapevole portata da infrastrutture come l’alta velocità, che hanno cambiato la percezione spaziale di quel pezzo di Paese dove funziona.

Le risorse sono certamente un problema, ma senza visione non solo l’unica soluzione.

 

Paolo Manfredi si occupa da oltre vent’anni del rapporto tra digitale, sistemi territoriali e PMI. È consulente per la trasformazione digitale e responsabile del Progetto Speciale PNRR di Confartigianato Imprese e co-founder e responsabile di impatto di Upskill4.0 Società Benefit. È autore di L’economia del su misura (2016) e Provincia non periferia. Innovare le diversità italiane (2019), L’eccellenza non basta. L’economia paziente che serve all’Italia (2023). Cura il blog Grimpeur: scalare la montagna dell’innovazione inclusiva per “Nova 100–IlSole24Ore” e scrive di politica ed enogastronomia. 

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