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Il Nazionalismo Identitario Che Rende Difficile Il Dialogo

Il nazionalismo identitario che rende difficile il dialogo

di Mario Giro

Il Nord Africa è a una nuova svolta geopolitica dalla fine della guerra fredda. Regimi che sembravano ingessati da decenni sono stati attraversati da rivolgimenti inattesi. Dal volgere del Millennio, e più in particolare dagli attentati alle torri gemelle, si è dipanato il tentativo degli islamisti di varia natura, sia di origine fratelli musulmani che wahabiti o salafiti di conquistare il potere. Nessun Paese nordafricano è sfuggito a tale scenario pur se in modi diversi. 

In Algeria ha portato al “decennio nero”, con una sanguinosa guerra tra esercito e fondamentalisti armati, che ha causato circa 200.000 morti e provocato un vero trauma al Paese. In Tunisia e Marocco l’espansione islamista ha seguito strade più politiche e pacifiche, con l’entrata in parlamento dei partiti di ispirazione islamica, inclusa la possibilità di governare, prevalentemente in coalizione. In Libia le fazioni islamiche hanno partecipato alla caduta del regime gheddafiano senza riuscire tuttavia a esprimere una forza unitaria nel caotico disfarsi del Paese. Infine in Egitto i fratelli musulmani hanno approfittato della rivoluzione di piazza Tahrir per issarsi al potere tramite elezioni libere. Successivamente non sono stati in grado di accordarsi con l’esercito, la struttura portante dello Stato egiziano, e sono stati cacciati da un “golpe bianco” guidato dagli stessi alti ufficiali che avevano promosso. 

Tale ondata islamista è andata esaurendosi in Nord Africa in circa dieci anni. Assistiamo oggi ad un nuovo tornante e al ritorno in voga della tendenza nazionalista, generalizzata in tutto l’universo nordafricano e mediorientale. In Tunisia il presidente Kais Saied ha sciolto il parlamento e fatto incarcerare Rachid Gannouchi, leader del partito islamista moderato Ennahada uno dei protagonisti della democrazia tunisina iniziata dopo la “rivoluzione dei gelsomini” impostando una politica autoritaria con il sostegno dell’esercito. L’Egitto di al-Sisi è già da tempo su questa strada, legittimato da una classe media legata alle forze armate. In Algeria il blocco militare-securitario che governa il Paese dall’indipendenza, ha reagito duramente al nuovo tentativo della società civile di aprire il sistema, mentre in Marocco gli islamisti moderati sono stati estromessi dal governo dopo circa 10 anni di convivenza politica. A tale generale svolta politica fa eco quella del Medio Oriente, specialmente negli Stati del Golfo. Significativa la virata del principe ereditario saudita Mohamed Bin Salman che ha bloccato i finanziamenti all’islam politico in tutte le sue forme come anche alla costruzione di moschee nel mondo segnatamente in Africa allontanandosi dalla tradizionale alleanza con i religiosi wahabiti mediante diverse riforme interne. In cambio ha assunto una postura nazionalistica anti-occidentale, chiedendo l’adesione ai BRICS e all’organizzazione di cooperazione di Shanghai (SCO). 

Si può dire che l’attuale nazionalismo nordafricano e mediorientale è divenuto una formula politica identitaria per reagire alla crisi della globalizzazione – decoupling e guerra ucraina. La presa di distanza dall’islam politico non si traduce nell’abbraccio del modello della democrazia occidentale. Prevale al contrario un modello autoritario dall’agenda politica e culturale anti-europea e anti-occidentale, in nome dell’interesse nazionale. Davanti al conflitto russo-ucraino gli Stati nordafricani rimangono incerti tra la difesa del principio di intangibilità delle frontiere e l’avversione per l’unipolarismo del sistema euro-occidentale. L’insofferenza per l’unipolarità occidentale del dopo guerra fredda, si sta generalizzando e divenendo un sentimento diffuso in numerose cancellerie nordafricane. Malgrado tutti siano contrari all’aggressione contro l’Ucraina, allo stesso tempo credono che ci sia del vero nella rimostranza russa contro un’Europa e un Occidente arroganti e autoreferenziali. Non si tratta di polemiche frontali: tutto avviene in maniera fluida e articolata. La Tunisia di Saied non tollera più “consigli” sul suo sistema di governo, né condizionamenti sugli aiuti finanziari. Nel caso delle migrazioni fa finta di trattare con l’Italia, ad esempio, ma spinge verso le nostre frontiere marittime i migranti africani che caccia dal suo territorio. Anche se lo Stato libico non esiste più, l’atteggiamento di chi comanda a Tripoli o a Bengasi rimane ambiguo se non ostile verso l’Europa. Il Cairo resta interessato agli aiuti occidentali ma non ha accettato di sanzionare la Russia con la quale mantiene buone relazioni. Il Marocco è forse lo Stato nordafricano più vicino all’Europa grazie alla svolta spagnola sul caso Polisario. Si mantiene immobile la postura algerina, sempre ostile a una reale riconciliazione con il suo passato coloniale – e quindi con la Francia – che provoca un atteggiamento distante con il resto d’Europa. Oggi tra Nord Africa e Europa non c’è vero dialogo e la guerra in Ucraina ha inasprito un clima di sospetti e diffidenze reciproche. 

Mario Giro, già di Sottosegretario e Viceministro degli Affari Esteri.

 

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