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Il Futuro Della Russia è Tutto Da Scrivere

Il futuro della Russia è tutto da scrivere

di Mara Morini

L’invasione russa in Ucraina del 24 febbraio 2022 ha interrotto il sogno della pace perpetua e sembra averci riportato indietro nel fatale destino dell’Europa “di mezzo” nella storia mondiale.
La guerra nei Balcani degli anni Novanta aveva già costituito un segnale importante degli effetti politici e delle eredità culturali irrisolte del crollo dell’Unione Sovietica, ma era stata considerata da molti analisti e leader europei una parentesi di immediata soluzione che non avrebbe compromesso il processo di integrazione europea. Mentre i processi di allargamento ad Est dell’Unione Europea e della NATO avanzavano speditamente, la successione al potere di Boris Eltsin con Vladimir Putin ha determinato un cambiamento nella direzione politica della Russia postcomunista, volto all’affermazione di istanze conservatrici e al riscatto nella politica internazionale, dopo l’umiliazione subita dal popolo sovietico per la sconfitta nella Guerra Fredda.

Dalla Russia zarista ai giorni nostri, il contesto storico, filosofico e culturale delle élites politiche è sempre stato caratterizzato da una tensione tra due visioni divergenti del ruolo della Russia nel mondo. Da un lato, la componente degli “occidentalisti” ha sempre sostenuto che la Russia dovesse aprirsi all’Europa, come era nei disegni dello zar Pietro il Grande nella costruzione di San Pietroburgo e portata avanti nella contemporaneità dalla compagine ministeriale di Eltsin.

Dall’altro lato, gli “slavofli”, e ora nella più recente etichetta gli “eurasiatisti”, guardavano a Oriente con interesse, nella convinzione che fosse il locus culturale e commerciale più fisiologico per il proprio Paese. Quest’ultimo orientamento filosofico e altre letture di autori quali il pensatore Ivan Il’in, il flosofo Nikolaj Berdjaev e l’etnologo Lev Gumilëv, (come è ben descritto nel libro L’idea russa di Bengt Jangfeldt) hanno plasmato la forma mentis del presidente Putin che ha impresso gradualmente dal 2000 al 2004 e, più velocemente, dal 2012, due tipi di politiche: repressiva a livello nazionale e revisionista a livello internazionale.

Dalla implementazione della legge contro “gli agenti stranieri” e “contro gli estremismi”, che hanno ridotto i margini, già difficili, di azione politica dell’opposizione extra-parlamentare e la garanzia di difesa dei diritti civili, alla riaffermazione di status di “superpotenza” la Russia vuole dimostrare al mondo di essere un attore primario fondamentale nelle scelte politiche internazionali e, come tale, richiede con insistenza di essere riconosciuto come un “partner alla pari” di altre potenze internazionali.

È proprio nel nome di questa strenua lotta per il riconoscimento del suo ruolo a livello globale che la Russia di Putin non esita a invadere la Georgia nel 2008, a occupare il Donbass in Ucraina, e ad annettere (“ricongiungere/riunificare”, secondo il Cremlino) la Crimea con il referendum illegale per il diritto internazionale del marzo 2014. Questi tre episodi sono la dimostrazione di una torsione revisionista e assertiva del Cremlino che non solo critica costantemente l’espansione della NATO, espressione di quel timore storicamente presente della “sindrome di accerchiamento” geopolitico, ma risente anche delle preoccupazioni derivanti dalle “rivoluzioni colorate” in Georgia (2003), Ucraina (2004) e Kirghizistan (2005). Questi episodi di mobilitazione spontanea delle popolazioni nei paesi del cosiddetto “estero vicino” della Russia, sono percepiti come ingerenze esterne degli Stati Uniti e dell’Unione Europea che devono essere fermati a ogni costo.

È in quest’ottica di “dominio imperiale” che Putin non intende perdere (o, per meglio dire, lasciare agli USA) dalla propria “sfera d’influenza” l’Ucraina, che è considerata dal Cremlino come la “culla della civiltà”, così culturalmente, storicamente e geopoliticamente rilevante per la Russia perché chiude all’Occidente la frontiera geografica tra Europa e Asia. Tuttavia, la guerra in Ucraina ha anche dimostrato che non si tratta di un mero confitto territoriale perché ha assunto una connotazione “ibrida” (guerra economica, tecnologica, informatica e dell’informazione) e di natura globale con una configurazione di schieramenti di Stati ben diversa da quella della Guerra Fredda.

Nell’incapacità dei leader occidentali di cogliere i segnali del revisionismo putiniano degli ultimi 15 anni, l’invasione russa in Ucraina ha accelerato la crisi del sistema internazionale, passando da una situazione di parziale stabilità ad una profonda e incerta instabilità. Ciò che potrebbe sembrare un mero confitto per cause interne ai due principali Stati coinvolti, riflette, invece, la realtà sistemica e l’architettura internazionale del XXI secolo.

La sfida della Russia di Putin e della Cina di Xi Jinping all’egemonia statunitense per l’affermazione di un assetto multipolare ha delineato una dicotomia tra “l’Occidente e il resto del mondo”, dove nuove realtà come i BRICS e i paesi del Sud Globale stanno assumendo sempre più rilevanza nelle relazioni internazionali. I Paesi in via di sviluppo dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia, racchiusi nel concetto di “Sud Globale” denunciano il livello delle diseguaglianze economiche, storiche e sociali e rivendicano il loro diritto di non essere emarginati nell’assetto globale. Allo stesso modo, i BRICS stanno ampliando la loro compagine anche ad altri paesi quali l’Argentina, l’Egitto, l’Iran, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita per rafforzarsi nelle dinamiche geopolitiche e per contrastare i rischi dei sistemi finanziari della globalizzazione.

La destabilizzazione della politica interna americana con l’avvento di Donald Trump nel 2016, ancora in corso, e l’assertività sino-russa stanno procedendo di pari passo con conseguenze imprevedibili nel processo di mutamento dell’ordine internazionale e sarebbe un altro grave errore sottovalutare il ruolo che la Russia avrà ancora in futuro, al netto dell’esito della guerra in Ucraina.

 


Mara Morini è professoressa
associata di Scienza politica all’Università degli Studi di Genova dove insegna Politics of Eastern Europe, Politica comparata, partiti, lobbies e gruppi di pressione. Editorialista del quotidiano “Domani”, è autrice del libro La Russia di Putin (Il Mulino, 2020) e con G. Natalizia della curatela La svolta della Russia (Carocci, 2023). È stata osservatrice elettorale OSCE-ODIHR in Russia, Moldova, Uzbekistan e Nord Macedonia, project manager di alcuni progetti Tempus-Tacis nell’Est Europa e Visiting Professor alla High School of Economics di Mosca nel 2020. È anche analista politica per diverse trasmissioni radiofoniche e televisive.

 

Immagine:  © Marco Marcone

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