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Neuromarketing

Big data e politica: quattro regole per avere successo

Ci sono molti motivi per cui una campagna politica può non andare a buon fine: il carisma del leader, il supporto dell’opinione pubblica, senza considerare la possibilità che si scatenino scandali e crisi di comunicazione.

Ma in uno scenario in evoluzione sempre più rapida c’è un altro fattore, forse ancora un po’ sconosciuto dalla politica italiana, che diventa sempre più cruciale per la riuscita di grandi progetti elettorali: è la professionalità dei comunicatori nella gestione dei big data.

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Harper Reed, Chief Technology Officer della campagna Obama 2012, ha coordinato l’attività di analisi dei big data

Italia nella preistoria comunicativa dei big data

Un mondo sempre più interconnesso e social – always on – fornisce, infatti, mai come prima d’ora una mole enorme di dati utili ai politici che vogliano monitorare il sentiment degli elettori e modulare i messaggi a seconda dei pubblici di riferimento. Ma, per cogliere queste opportunità, c’è bisogno di un supporto strategico da parte di professionisti in grado di progettare ogni dettaglio della campagna dei candidati.

Una premessa è d’obbligo: molto è stato fatto dalla politica italiana, con l’avvento di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, l’evoluzione comunicativa di Matteo Renzi supportata dal numero uno degli spin doctor Filippo Sensi, o l’ascesa del segretario della Lega Nord Matteo Salvini, del cui staff di comunicazione si sa ancora poco. 

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Sorpresa: gli Stati Uniti temono le big corporation

Quali sono le percezioni degli americani sulle attività delle grandi imprese? Driver di ricchezza, innovazione e posti di lavoro? O un motore di profitto e sfruttamento?
La risposta è duplice e dipende da che punto si guarda il risultato.
Abbiamo sempre creduto che il Paese che ha fatto del sogno americano la propria bandiera, un Paese iper liberista e votato alla competitività sfrenata, guardasse con ammirazione e speranza alle attività delle aziende di casa propria.

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