Pokémon Go, il marketing non sarà più lo stesso
Il boom inatteso di Pokémon Go, l’applicazione di realtà aumentata che permette di dare la caccia ai famosi mostriciattoli tramite il nostro smartphone, si presta a numerose interpretazioni, che vanno ben oltre le consuete analisi sociologiche.
Ha sicuramente destato sconcerto in molti di noi la vista di nutriti gruppi di giovani (e meno giovani) alla spasmodica ricerca di Pokémon nei luoghi più disparati: parchi pubblici, riserve naturali, quartieri cittadini, addirittura zone a rischio o memoriali storici.
Un potenziale immenso. La Stampa ha raccontato le storie più curiose in cui sono stati coinvolti cacciatori di Pokémon non troppo avveduti, come quella dei due adolescenti canadesi che non si sono resi conto di aver attraversato il confine con gli Stati Uniti.
Per non parlare delle critiche piovute su quanti hanno trascurato gli impatti sulla propria incolumità o la delicatezza di certi luoghi: mi riferisco agli appelli rivolti, per esempio, dai gestori della centrale nucleare di Fukushima, da un’associazione che si occupa di campi minati in Bosnia-Erzegovina e dai responsabili di siti storici quali Auschwitz e il cimitero militare di Arlington.
Episodi che fanno riflettere sull’immenso e ancora sottovalutato potenziale degli smartphone che stringiamo per gran parte della nostra giornata: non solo strumenti di comunicazione, ma anche una lente tramite la quale trasformare la realtà che ci circonda e rendere un’attività banale come una passeggiata un’appassionante caccia all’ultimo Pokémon.