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Aziende, raccontate il vostro impegno sociale sul web

Se il responsabile comunicazione di una grande azienda mi dicesse di aver aperto un nuovo sito web corporate gli risponderei dimostrandogli il mio interesse, ma senza esserne troppo stupito. Nel giro di pochi anni è diventato infatti inconcepibile non presidiare il web in modo autorevole, sia curando il costante aggiornamento della pagina ufficiale (e delle sue varie sezioni, a partire da quella dedicata ai clienti e ai media) sia selezionando con cura i social network nei quali si vuole interagire con gli utenti e con gli stakeholder. L’ho ripetuto spesso in questa rubrica: non serve essere dappertutto, ma occorre piuttosto capire come diffondere i nostri contenuti adattandoli alle regole di Facebook, Twitter, LinkedIn o, perché no, anche Telegram.

Sostenibilità fattore chiave. Ho trovato quindi molto stimolante il report stilato da Lundquist sulle attività di comunicazione digitale che riguardano la responsabilità sociale d’impresa. Giunti ormai alla loro settima edizione, i Csr Online Awards sono la dimostrazione di come il ruolo degli operatori economici per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile sia ormai un formidabile fattore di competitività anche nella definizione delle attività di comunicazione, soprattutto digitale.

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“Stare sui social”, istruzioni per l’uso

Ci si interroga spesso sull’impatto che i social media hanno avuto negli ultimi anni sui media tradizionali, a partire dalla loro reddittività e dalla capacità di influenzare direttamente l’opinione pubblica. Proprio in questo spazio ho condiviso alcune riflessioni sul processo che il collega Vittorio Meloni ha definito «il crepuscolo dei media» e che è una tendenza da osservare attentamente anche dal punto di vista dei comunicatori d’impresa: se il web appare in grado di assorbire tutti i contenuti e di veicolarli a un’audience potenzialmente sterminata, come ci dobbiamo muovere al momento di selezionare i nostri investimenti in comunicazione? Quali canali sceglieremo per raggiungere i nostri stakeholder di interesse? Il web non può essere l’unica risposta.

Protagonismo ben oltre la firma. A essere inseriti nei social network non sono però solo gli account ufficiali delle nostre testate e delle televisioni, ma anche gli stessi giornalisti che lavorano per questi mezzi di informazione. In un modo totalmente inedito rispetto al passato, il singolo operatore acquisisce un protagonismo che va ben oltre la firma di un pezzo su un quotidiano o la conduzione di un telegiornale.

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Da Netflix a Coca Cola: la personalizzazione è il futuro dei brand

Se in passato un brand poteva apparirci come un mezzo per acquistare rispettabilità sociale o un segno di appartenenza a un determinato gruppo, oggi ci auguriamo che il prodotto risponda innanzitutto alle nostre esigenze individuali. Parafrasando un noto libro dello scrittore Francesco Piccolo, a guidarci nei piccoli e grandi acquisti quotidiani (spesso effettuati con facilità sul nostro smartphone) è il «desiderio di non essere come tutti».

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Il “petrolio” della nostra era: i dati. Una logica alla quale si sono abituati con rapidità i grandi marchi internazionali, anche grazie alle infinite potenzialità del web e al notevole valore informativo che deriva dal “petrolio” della nostra era: i dati. Basta un clic su un sito di e-commerce o una sbirciata in un motore di ricerca per contrassegnarci inevitabilmente come possibili acquirenti di un prodotto.

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Cambiano i media o le nostre abitudini?

La crisi dei media così come li conosciamo sembra una tendenza ormai ineluttabile. Peccato che questo tema venga troppe volte affrontato in modo generico e raramente sviscerato in profondità e con lo sguardo rivolto oltre il presente. Un’eccezione in tal senso è il volume pubblicato di recente dal collega Vittorio Meloni, direttore delle relazioni esterne di Intesa Sanpaolo, intitolato non a caso Il crepuscolo dei media (Laterza). Un’analisi rigorosa e documentata dei contraccolpi provocati dal digitale in termini di crescita e sostenibilità economica del settore, che pone però le basi per un’interessante riflessione sugli elementi che lo potrebbero rendere finalmente “a prova di futuro”. Anche io sono convinto che i declinismi di comodo non ci portino molto lontano. Partiamo dunque dalle basi: qual è la funzione sociale e la ragion d’essere dei media?

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L’informazione è la “materia prima” che ci aspettiamo, sia come produttori sia come consumatori, quando ci rivolgiamo a essi. Un settore, quello dei media, che non si è certo sottratto allo tsunami dell’innovazione che negli ultimi decenni ha cambiato in profondità tutti i comparti, in modo più o meno evidente e doloroso. C’è da dire però che nessuno di noi tornerebbe mai al passato, né da un lato né dall’altro della barricata: i giornalisti si riadatterebbero con molta difficoltà alla vecchia macchina da scrivere, mentre noi lettori non saremmo più in grado di attendere il notiziario della sera o il quotidiano del giorno dopo per avere informazioni su argomenti di nostro interesse.

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Campagne elettorali online: il rigore è fondamentale

Il caso Dirty Campaigning sta dominando la campagna elettorale in Austria, dove si vota il prossimo 15 ottobre. Una tornata che, a differenza delle recenti elezioni in Germania, non ha avuto grande risonanza in Italia, con l’eccezione dell’interessante intervista di Paolo Valentino al Cancelliere Christian Kern, pubblicata lo scorso fine settimana sul Corriere della Sera. Eppure lo scandalo innescato dalla scoperta di alcune tattiche diffamatorie adottate sui social media dal team del Partito socialdemocratico (che ha proprio Kern come candidato) rappresentano un interessante caso di studio per chi si occupa di comunicazione elettorale: l’arena digitale è un campo da presidiare in modo strategico, che può rivelarsi però una fonte di rischi per l’immagine pubblica del nostro candidato.

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Il caso Sulberstein. A sconvolgere una campagna elettorale che arriva al termine di ripetute elezioni per la Presidenza della Repubblica e alla fine prematura dell’attuale legislatura è stata la scoperta che un consulente dei socialdemocratici, Tal Silberstein, avrebbe scelto di screditare il candidato dei Popolari, il giovane Sebastian Kurz, mettendo in piedi pagine Facebook apertamente denigratorie nei suoi confronti. Silberstein è stato arrestato lo scorso agosto per reati non connessi alla campagna elettorale, ma le rivelazioni di alcuni media austriaci hanno messo di colpo sotto la luce dei riflettori l’aspetto più oscuro dei social media: da amplificatori delle attività “offline” del candidato a trasmettitori di informazioni negative sugli avversari.

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Per comunicare il patrimonio culturale tiriamolo giù dal piedistallo

La società in cui viviamo è alla costante ricerca di contenuti: originali, innovativi, stimolanti. L’avvento dei media digitali, dal classico Facebook al vivacissimo Snapchat, hanno cambiato in profondità le modalità tramite le quali accediamo ad essi: immagini e video sono sempre più ciò di cui andiamo alla ricerca, compulsando il nostro smartphone o navigando sul web. Immagini che hanno attraversato esse stesse una vera e propria rivoluzione. Nell’ormai lontano 1888 il fondatore di Kodak, George Eastman, coniò il geniale slogan “Tu premi il bottone, noi facciamo il resto”.

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Oggi invece l’utente-tipo può immortalare all’istante un’immagine con il suo cellulare e ha un unico imperativo: condividerla con la propria rete di “amici” e follower. Ognuno diventa quindi un trasmettitore, in una corsa contro il tempo che richiede velocità e immediatezza nel diffondere ciò che viene riconosciuto come bello o emotivamente importante. Dal punto di vista del comunicatore, i contenuti ad effetto che dobbiamo intercettare o amplificare sono dunque spesso generati dalla stessa audience che vogliamo ingaggiare.

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I social nelle emergenze maltempo? Utili, ma senza abusarne

Dire che i social media sono diventanti una componente fondamentale della nostra vita è quasi lapalissiano. Quello che ancora ci colpisce, dopo anni in cui sembriamo fare a gara a chi occupa più social network degli altri, è l’infinità degli usi a cui si prestano e la loro estrema versatilità.

Il racconto passa dai social. A pensarci bene, siamo ormai in grado di scrivere un commento su un caso di politica internazionale o su un programma televisivo con la stessa facilità e nonchalance. Una tendenza che si rivela ancora più evidente in situazioni di emergenza: eventi terroristici o catastrofi naturali, per esempio, sono sempre più raccontati e vissuti sul web e sui nostri account social media. Con molte opportunità, ma anche rischi.

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Anche al Vaticano serve la comunicazione integrata per il suo brand

Il binomio tra Vaticano e comunicazione è inscindibile: non dobbiamo pensare solo alle doti comunicative dei vari pontefici, che variano sulla base delle inclinazioni personali e dello stile del loro magistero, ma anche alle strutture che si occupano di diffondere il messaggio religioso a tutto il mondo.

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Una istituzione ex novo. Una struttura, quella della comunicazione vaticana, che è al centro di un processo di riforma sotto la guida di monsignor Dario Edoardo Viganò. La segreteria per la comunicazione è stata istituita il 27 giugno 2015 con la Lettera apostolica in forma di Motu proprio “L’attuale contesto comunicativo”: non una mera unione fra dipartimenti preesistenti, ma “una istituzione ex novo”, come ha ricordato lo stesso papa Francesco in un discorso all’Assemblea plenaria della segreteria nel maggio 2017.

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La lotta alle fake news? Interessa anche alle aziende

Siamo abituati a pensare che le fake news, notizie prive di fondamento rilanciate sul web da siti non affidabili, siano esclusivamente un problema del mondo politico e che pongano innanzitutto una sfida “esistenziale” ai media ufficiali. Il successo messo a segno da Donald Trump negli Stati Uniti anche cavalcando l’effetto di bufale e dichiarazioni non veritiere diffusesi a macchia d’olio sui social media ha costituito il primo campanello d’allarme, a cui è seguita l’inquietudine suscitata dall’esito della battaglia referendaria per la Brexit. Uno scontro di opinioni in cui argomenti seri si sono irrimediabilmente mischiati a supposizioni e volute inesattezze.

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Reputazione a rischio. Un dibattito pubblico contaminato da menzogne confezionate ad arte rappresenta però una sfida per tutti gli attori sociali, inclusi gli operatori economici. Immaginiamo, per un attimo, che la Rete si riempia improvvisamente di presunte notizie errate su un nostro prodotto oppure che siti non verificati dichiarino la scarsa affidabilità della nostra azienda in materia di sostenibilità ambientale o di sicurezza. Il danno reputazionale potrebbe essere notevole e molto difficile da risolvere con la dovuta rapidità.

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Turismo e comunicazione: valorizzare realtà consolidate, far scoprire tesori nascosti

Sin dalla sua nascita il turismo è una pratica in continua evoluzione: innanzitutto, da fenomeno d’élite (il celebre Grand Tour degli aristocratici europei) a tendenza di massa negli anni del Boom economico. Andare in vacanza non è più solo una scelta individuale per il tempo libero, ma un motore di sviluppo economico e sociale per i luoghi che diventano destinazioni di richiamo. Non è una novità che l’Italia giochi questa corsa partendo dalla pole position: come certificato dall’ultimo rapporto sul soft power (la capacità di attrazione di un Paese in termini non coercitivi) stilato dall’agenzia di comunicazione Portland, il nostro Paese conquista un onorevole 13esimo posto a livello globale. Tendenza all’instabilità politica e crescita lenta vengono compensate infatti da un patrimonio storico eccezionale e da una cultura che abbraccia molteplici aspetti, dal fashion più sofisticato alla cucina tradizionale.

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