Nel 2023 la spesa a livello locale ha superato i diciassette miliardi di euro, un dato che raddoppia le performance degli enti nell’epoca pre-Covid e continua a crescere anche nel 2024 Le performance italiane sul Pnrr dovranno “diventare la regola…
Ci si interroga spesso sull’impatto che i social media hanno avuto negli ultimi anni sui media tradizionali, a partire dalla loro reddittività e dalla capacità di influenzare direttamente l’opinione pubblica. Proprio in questo spazio ho condiviso alcune riflessioni sul processo che il collega Vittorio Meloni ha definito «il crepuscolo dei media» e che è una tendenza da osservare attentamente anche dal punto di vista dei comunicatori d’impresa: se il web appare in grado di assorbire tutti i contenuti e di veicolarli a un’audience potenzialmente sterminata, come ci dobbiamo muovere al momento di selezionare i nostri investimenti in comunicazione? Quali canali sceglieremo per raggiungere i nostri stakeholder di interesse? Il web non può essere l’unica risposta.
Protagonismo ben oltre la firma. A essere inseriti nei social network non sono però solo gli account ufficiali delle nostre testate e delle televisioni, ma anche gli stessi giornalisti che lavorano per questi mezzi di informazione. In un modo totalmente inedito rispetto al passato, il singolo operatore acquisisce un protagonismo che va ben oltre la firma di un pezzo su un quotidiano o la conduzione di un telegiornale.
I big data stanno cambiando profondamente il modo in cui analizziamo e guardiamo al mondo. Sempre più gli esperti del marketing basano le proprie analisi affidandosi a enormi masse di informazioni che scandagliano i comportamenti dei consumatori per individuare le migliori strategie di mercato.
Le capacità di data mining e analytics sono sempre più richieste dai datori di lavoro per governare i cambiamenti della società, portandoli a proprio vantaggio.
Tuttavia la convinzione che sempre più dati siano la soluzione si scontra con una serie di falle che i dati portano con sé. Il futurista e autore Malcolm Gladwell, all’evento Postback 2015 di Seattle, ha cercato di mostrare come la capacità di raccogliere più informazioni sulle persone non sia la salvezza dei marketing professional, ma la loro possibile maledizione.
Avere a disposizione un numero sempre maggiore di dati non aumenta infatti la nostra accuratezza, ma il nostro livello di fiducia rispetto a un compito o un argomento specifico. L’autore ha sintetizzato il big data problem in tre sotto-problemi: Snapchat problem, Facebook problem e Airbnb problem.
Si avvicinano le vacanze, e il caldo torrido sta mietendo le sue prime vittime. Sono sempre di più le mail che tornano indietro confermando che il destinatario è felicemente fuori dall’ufficio e non potrà rispondere fino al prossimo 10 di agosto.
Ma non voglio, preso da lassismo estivo, dedicare la mia rubrica settimanale alle vacanze, o al desiderio di volerci andare, tant’è che per impegni e necessità di lavoro sarà difficile staccare il telefono persino a ferragosto.
Quello che voglio provare ad analizzare con occhio da spin doctor è l’importanza per molte località turistiche italiane di un’attenta strategia di marketing turistico e di una programmazione di comunicazione mirata, soprattutto in un Paese che attraverso il turismo produce quasi il 10% del Pil nazionale.
Nel mondo ultra frammentato in cui si muovono oggi le aziende, sta diventando sempre più difficile riuscire a diffondere messaggi in maniera efficace. La proliferazione dei media online, dei canali social, delle tivù in streaming e del digitale hanno portato…
Cerasa, sulle pagine de Il Foglio, l’ha chiamata «Generazione del You&Me» per evocare il concetto di disintermediazione dei corpi intermedi a tutti i livelli, partendo dalle categorie professionali, passando per i prodotti e servizi di mercato, fino ad arrivare ai partiti politici e al concetto stesso di rappresentanza.
La generazione peer to peer appunto, che punta a scavalcare ogni forma di intermediazione, perché la velocità di scambio dei prodotti e dei messaggi, la rapidità di contrattazione tra le parti o semplicemente il modo in cui vengono prese le scelte è ormai doppia rispetto a quella che i corpi intermedi possono sopportare e sostenere.
Keystone XL è un oleodotto nordamericano progettato dalla compagnia canadese TransCanada, in grado di trasportare fino a 830 mila barili di bitume (al giorno) destinati a essere convertiti in petrolio grezzo.
La parte meridionale dell’oleodotto, che arriva fino al golfo del Messico, è già operativa, così come una prima versione di quella settentrionale che risulta però poco efficiente dal punto di vista logistico, partendo dal Canada e attraversando numerosi stati del Midwest.
La nuova versione proposta dalla compagnia, denominata Keystone XL, è più breve e rettilinea, ma ha bisogno di un’autorizzazione particolare del governo americano.
So Many Stories to Tell for Met’s Digital Chief è il titolo di un’interessante intervista del New York Times a Sree Sreenivasan, professore di giornalismo digitale e new media alla Columbia University dal 1993, quando ancora i social network non esistevano e internet iniziava giusto a fare le prove generali per rivoluzionare il mondo.
Mr. Sreenivasan può essere considerato un pionere dello storytelling applicato ai social media e alla campagne di advocacy online.
PIONIERE NELLE BELLE ARTI. Dopo aver insegnato a un’intera generazione di giornalisti alla Graduate School of Journalism della Columbia come la tecnologia stava cambiando il giornalismo e come i professionisti del mestiere dovessero agire di conseguenza, ad agosto è diventato il primo Chief digital officer del Metropolitan Museum of Art, e a ben guardare, forse il primo Cdo nel panorama museale del mondo.
Può suonare strano vedere un profilo del calibro di Sree al servizio delle belle arti, con una funzione che attualmente poche aziende dello stesso panorama consumer hanno tra gli executive aziendali.
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