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Con Jim Messina Renzi dà scacco al referendum

Uno degli aneddoti preferiti raccontati da Jim Messina è quello in cui ricorda quella volta in cui il presidente Barack Obama lo chiamò nel suo ufficio e gli disse: «Jim, devi lasciare il tuo posto!».
Messina era convinto di essere stato licenziato.
«Succede a tutti», pensò fra sé e sé.
Ma Obama aggiunse: «Voglio che tu guidi la campagna per la mia rielezione».
Fu così che da chief of staff (capo di gabinetto) della Casa bianca, Jim Messina si ritrovò catapultato alla guida della campagna più tecnologica della comunicazione politica moderna, quella del 2012.

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Nel 2016 sbarca in Italia. Oggi, dopo aver guidato come consulente la campagna del 2015 per la rielezione del primo ministro britannico David Cameron, Messina sbarca in Italia.
Matteo Renzi l’ha voluto come consulente per la campagna referendaria prevista per l’autunno del 2016 sulla riforma del Senato, alla quale affida un’importanza strategica («Se perdo lascio, la mia esperienza è fallita», ha detto) per la costruzione del consenso al suo governo.
La notizia è stata data da Claudio Tito sulle pagine de la Repubblica.

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I Gufi e la comunicazione nella politica di oggi

Ho seguito con molto interesse la diatriba andata in scena sulle pagine de Il Fatto Quotidiano tra Antonio Padellaro e Filippo Sensi, il portavoce del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Al centro del contendere l’autorevolezza della comunicazione istituzionale del primo ministro.
È uno spunto interessante per analizzare in che direzione sta andando la comunicazione politica degli ultimi anni. Il gufo utilizzato dal premier nelle slide della conferenza di fine anno simboleggia indubbiamente il disfattismo nostrano. Quel gruppo di persone che non crede nel cambiamento perché «finora non è successo niente» e pertanto non pensa né spera che possa avvenire.

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Avere un nemico in politica è utile. L’utilizzo di un nemico, vero o inventato, è una pratica piuttosto comune nella dialettica politica degli ultimi cinquant’anni. Fa sentire i cittadini parte di un gruppo, sicuri di stare dal lato “giusto” della barricata, e delinea nettamente il perimetro del messaggio pronunciato da un leader.

Tuttavia, come ha cercato di spiegare Filippo Sensi, i codici comunicativi dei leader politici stanno cambiando radicalmente. Non bisogna stupirsi che un premier giovane, che si è sempre presentato come alfiere del cambio generazionale, si faccia portatore di innovazioni comunicative che possono spiazzare un pubblico di giornalisti e politici abituato a codici più tradizionali.

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Campagne elettorali 2.0: il digital team è centrale

Nel 2017 in Italia verrà abolito il finanziamento pubblico ai partiti, un duro colpo per le casse ormai vuote degli organi politici del nostro paese.

Sono già stati attivati una serie di strumenti per sopperire a questa mancanza, come le cene elettorali o il 2×1000 ai partiti politici.
Nell’ultimo anno sono stati più di 500mila i cittadini che hanno deciso di dedicare questa forma di finanziamento solo al Partito democratico, per un totale di quasi 6 milioni di euro.

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Tuttavia esiste una nuova generazione di strumenti digitali e tattiche di fundraising che permettono di raggiungere gli elettori in maniera diretta e attivare una mobilitazione dal basso a favore dei candidati. Si tratta di strumenti che in Italia devono ancora essere esplorati.

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In campagna elettorale lo staff conta più del leader

Uno dei problemi più ricorrenti nella preparazione di una campagna elettorale è la creazione dello staff al servizio del candidato, che troppo spesso vede concentrarsi su di sé tutti gli sforzi decisionali.

Tuttavia, il leader, deve risparmiare le energie per le decisioni più importanti e curare le attività prettamente strategiche.

La campagna elettorale è una macchina velocissima e complessa. È veloce perché in pochi mesi richiede la produzione di una quantità enorme di materiali e informazioni: la comunicazione, l’aggiornamento e il monitoraggio media quotidiano, i messaggi da condividere sui social media che devono essere costanti e tempestivi, per non parlare delle attività sul territorio, gli eventi e le apparizioni pubbliche.

Il tutto sotto il cappello di una strategia del messaggio basata sull’analisi dei dati, che va adattata alle esigenze dell’attualità politica.

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Come combattere la disinformazione dei NoTutto (dopo la bomba Nimby del Tar)

di Gianluca Comin

La sentenza del Tar del Lazio, che ha respinto il ricorso di alcune ditte che si erano viste annullare la delibera del comune di Borgorose per la realizzazione di un impianto per la cremazione delle salme, apre scenari ancora difficilmente prevedibili e cambia di botto le regole del gioco degli equilibri di potere dell’opinione pubblica. Certo la decisione non viene su una infrastruttura come una centrale elettrica, una autostrada o un termovalorizzatore.

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Tuttavia, è chiaro che il riconoscere che è sufficiente la “manifestazione da parte della popolazione del Comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera” per rendere fondata la decisione dell’Amministrazione di ritirare la sua precedente autorizzazione rischia di inaugurare una nuova, più radicale, stagione di conflitti tra la logica del “fare” e quella del “no”. E rende certamente ancora più evidente agli investitori l’incertezza del diritto e la volatilità delle decisioni pubbliche proprio in un momento in cui con grande forza il governo Renzi sta tentando di offrire a chi intende investire in Italia un quadro di certezze nei tempi, nelle regole e nei soggetti chiamati a decidere.

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Primarie USA, cosa sono i Super Pac

Il loro nome è Super Pac (Super political action committees) e stanno creando non pochi imbarazzi alle campagne elettorali dei candidati democratici e repubblicani alla presidenza degli Stati Uniti.

Si tratta di organizzazioni di raccolta fondi che appoggiano un politico o un partito in maniera privata e indipendente e hanno la capacità di influenzare l’opinione pubblica con spot elettorali e una serie di azioni a sostegno del candidato senza dover rispettare vincoli e divieti applicati alle donazioni dirette.hillary

È di domenica scorsa (2 agosto, ndr) un approfondimento del Corriere della Sera a firma di Massimo Gaggi che ha analizzato in maniera puntale cosa sia successo nel sistema di finanziamenti e lobbying americano che ruota attorno alle campagne presidenziali degli Stati Uniti.

Regole meno trasparenti. Nel gennaio del 2010 la Corte Suprema ha infatti stabilito che lo Stato Americano non ha il diritto di vietare alle lobby e alle grandi corporations di contribuire in maniera massiccia alle campagne elettorali americane.
Tuttavia, se in base al principio del “free speech”, la possibilità di finanziare illimitatamente le campagne è alla base della rappresentanza degli interessi a stelle e strisce, le regole a cui sottostanno questi Super Pac sono molto meno severe dei precedenti Pac e molto meno trasparenti. A differenza delle donazioni dirette, per esempio, le organizzazioni hanno la possibilità di mantenere segreto il nome dei finanziatori fino a elezioni concluse e, non essendo direttamente collegate alle campagne dei candidati, questi ultimi non possono essere ritenuti responsabili delle azioni di queste organizzazioni.

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Cinque serie tv sulla politica da non perdere

Questa settimana vorrei uscire dai binari tracciati in questi mesi nel mio appuntamento settimanale con la rubrica Spin doctor e parlare di quel mondo a cavallo tra fanta-politica e realtà dei giochi di potere rappresentato dalle serie tivù che trattano di politica e di creazione del consenso, di comunicazione e attività di lobby.

Come i grandi leader. Esperienze che ricalcano delle volte fedelmente quello che accade negli uffici presidenziali dei più grandi leader mondiali.

Di seguito una non-classifica sulle migliori rappresentazioni della scena politica contemporanea in televisione.

1. House of Cards: cinismo, Realpolitik e intrighi di potere

Una serie che non ha bisogno di presentazioni, seguita dai più grandi leader di tutto il mondo, tra cui i due presidenti americani che hanno tracciato la storia politica Usa degli ultimi 20 anni come Barack Obama e Bill Clinton, nonché il nostro premier Matteo Renzi.

L’attuale presidente americano, alla vigilia del debutto della terza serie su Netflix, ha twittato: «Domani: @HouseOfCards. Niente spoiler, per favore».

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Clinton: «Il 99% è realistico». L’ex presidente Clinton invece, caro amico di Kevin Spacey, in un’intervista per Gotham ha dichiarato: «Kevin, il 99% di quello che fai vedere nella serie è realistico. L’1% che non hai azzeccato è che non riusciresti mai a far passare una legge sull’istruzione così in fretta».

Perfetta visione delle lobby. Questo misto di cinismo, realpolitik e intrighi di potere stupisce per un aspetto che è difficile da trovare in altre serie televisive: la visione delle lobby, spiegata e agita in maniera molto attenta, senza essere mitizzata o portata agli eccessi. I lobbisti si integrano in maniera efficace e assolutamente realistica nella trama del racconto. 

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Proteste e social media… non solo black bloc

È ancora vivo il dibattito sulle proteste milanesi, che hanno approfittato della visibilità dell’inaugurazione di Expo 2015, ma in pochi si sono interrogati sul risvolto comunicativo che le proteste portano con sé.black-bloc-675

In una società definita come la «società dei movimenti», la comunicazione riveste un ruolo importante nell’ambito della libertà di espressione e dell’esercizio della protesta politica e sociale.

La diffusione di internet ha reso possibile la creazione di mezzi alla portata di organizzazioni con poche o nessuna risorsa, in grado di presentare senza filtri la propria protesta e le proprie rivendicazioni. I social media hanno accorciato ancora di più lo iato tra i protestanti e gli organizzatori della protesta, rendendo di fatto superfluo il ruolo dell’organizzazione stessa nei flussi comunicativi.

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Dal sindacato a Netflix, fine dei corpi intermedi

Cerasa, sulle pagine de Il Foglio, l’ha chiamata «Generazione del You&Me» per evocare il concetto di disintermediazione dei corpi intermedi a tutti i livelli, partendo dalle categorie professionali, passando per i prodotti e servizi di mercato, fino ad arrivare ai partiti politici e al concetto stesso di rappresentanza.248eb5c60c78585c0c0a6a96589c2227-1557-kZMB-U10402662572705KcB-700x394@LaStampa.it

La generazione peer to peer appunto, che punta a scavalcare ogni forma di intermediazione, perché la velocità di scambio dei prodotti e dei messaggi, la rapidità di contrattazione tra le parti o semplicemente il modo in cui vengono prese le scelte è ormai doppia rispetto a quella che i corpi intermedi possono sopportare e sostenere.

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