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Pokémon Go, il marketing non sarà più lo stesso

Il boom inatteso di Pokémon Go, l’applicazione di realtà aumentata che permette di dare la caccia ai famosi mostriciattoli tramite il nostro smartphone, si presta a numerose interpretazioni, che vanno ben oltre le consuete analisi sociologiche.
Ha sicuramente destato sconcerto in molti di noi la vista di nutriti gruppi di giovani (e meno giovani) alla spasmodica ricerca di Pokémon nei luoghi più disparati: parchi pubblici, riserve naturali, quartieri cittadini, addirittura zone a rischio o memoriali storici.

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Un potenziale immenso. La Stampa ha raccontato le storie più curiose in cui sono stati coinvolti cacciatori di Pokémon non troppo avveduti, come quella dei due adolescenti canadesi che non si sono resi conto di aver attraversato il confine con gli Stati Uniti.
Per non parlare delle critiche piovute su quanti hanno trascurato gli impatti sulla propria incolumità o la delicatezza di certi luoghi: mi riferisco agli appelli rivolti, per esempio, dai gestori della centrale nucleare di Fukushima, da un’associazione che si occupa di campi minati in Bosnia-Erzegovina e dai responsabili di siti storici quali Auschwitz e il cimitero militare di Arlington.
Episodi che fanno riflettere sull’immenso e ancora sottovalutato potenziale degli smartphone che stringiamo per gran parte della nostra giornata: non solo strumenti di comunicazione, ma anche una lente tramite la quale trasformare la realtà che ci circonda e rendere un’attività banale come una passeggiata un’appassionante caccia all’ultimo Pokémon.

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È il bello del live: tutti a caccia delle dirette social

Una volta si diceva «il bello della diretta» per indicare quel mix di calibrata improvvisazione e gusto per l’imprevedibilità che contraddistingue una trasmissione televisiva non registrata.
Il “live” ha chiaramente un fascino che qualunque tipo di prodotto preconfezionato non ha: pensiamo al concerto del nostro cantante preferito, a un fatto di cronaca colto per caso in una registrazione, a un evento artistico tenuto in una location irripetibile o a un grande appuntamento sportivo.

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Il ruolo crescente dei social media, anche in questo caso, è un fattore che ha contribuito a modificare il nostro concetto di “live”, abbattendo le barriere e permettendo a migliaia (quando non a milioni) di utenti di essere spettatori anche tramite lo schermo di uno smartphone o di un tablet.

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Sondaggisti inaffidabili? La svolta è nella Rete

Di Brexit si è discusso ampiamente in tutte le sedi e attraverso tutti i mezzi di comunicazione.
I leader dell’Ue hanno reagito con fermezza alla decisione del popolo britannico di porre fine alla loro partecipazione al progetto europeo, mentre la leadership politica di Londra sembra essersi resa conto in ritardo delle drammatiche conseguenze del referendum.

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In un contesto così teso e imprevedibile, il ruolo dei mezzi di informazione quali “interpreti” di una realtà che nemmeno i migliori esperti sono in grado di inquadrare efficacemente è cruciale.

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Rammendare le periferie? Senza web ogni sforzo è vano

In questi mesi si è molto discusso di elezioni amministrative e di governo delle città.
Lasciando da parte le inevitabili interpretazioni politiche di quanti hanno guardato a queste consultazioni più come a un test di tenuta del governo che a una sfida sui programmi e sulle proposte di policy, mi piacerebbe concentrarmi sui dati più significativi che emergono dalle urne.

A ridosso del voto di domenica scorsa che ha sancito il successo del Movimento 5 Stelle con Virginia Raggi a Roma, Lettera43.it ha pubblicato un’interessante analisi di Alberto Bellotto sulle mappe del voto nei principali centri urbani.

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Foto di Piero Donadeo

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Avaaz, la lobby 2.0 dà scacco alle multinazionali

La pressione sulle istituzioni per avere un impatto sui processi decisionali non avviene esclusivamente nei corridoi dei palazzi.

La società contemporanea, digitalizzata e disintermediata, consente infatti di attivare una molteplicità di canali offline e online, che permettono una mobilitazione capillare e sorprendentemente efficace dei cittadini.

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Da sempre si sostiene che l’interesse di singoli attori dotati di abbondanti risorse è inevitabilmente destinato a neutralizzare l’interesse contrario di una molteplicità di soggetti disorganizzati.

Una moltitudine numericamente forte, che non è però in grado di parlare con una voce sola e di presentare la propria proposta in modo articolato e conciso.
Il lavoro dei lobbisti è proprio questo: raccogliere il punto di vista di un operatore economico o di un’associazione e trasformarlo in un documento sintetico e facilmente trasmettibile al decisore pubblico.

Il web consente ora anche a migliaia di cittadini di condensare in pochi punti chiari e definiti la propria posizione rispetto a un determinato tema.

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Facebook decide le top news dei media globali?

Chi di noi non ha un profilo Facebook? Tanti di noi utilizzano il social media di Menlo Park anche come una sorta di rassegna stampa a portata di mano, che permette di scorrere in un clic il flusso delle news e di essere aggiornati all’istante.

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Niente a che vedere con la lettura mattutina dei quotidiani, che a mio parere rappresenta un momento fondamentale anche in piena era digitale. Sia che si svolga sulla copia comprata dall’edicolante o grazie all’edizione “recapitata” sul nostro i-Pad, dovrebbe essere una componente irrinunciabile della giornata: serve a inquadrare le vicende in modo meno episodico, seguendo il filo rosso che determina la scansione dei vari argomenti e l’impaginazione complessiva del quotidiano.

Zuckerberg e la censura dei giornali conservatori. I quotidiani costituiscono inoltre una fonte certa di informazioni, verificate e attendibili. Anche se diciamo meno di frequente rispetto al passato «l’ho letto sul giornale» per dimostrare la validità di una nostra argomentazione, è dalla stampa tradizionale che possiamo tuttora trarre la miglior fonte di legittimazione di una presa di posizione. Allo stesso tempo, sono le redazioni dei giornali a decidere la rilevanza da attribuire a un dato tema.

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Che boom Telegram: sbarca pure il Mef

Il recente scontro tra Fbi e Apple per ottenere l’accesso al cellulare dell’attentatore di San Bernardino ha riacceso i riflettori su una questione che si preannuncia fondamentale per il rapporto fra tutela della privacy e nuove tecnologie: fino a che punto sono ammissibili violazioni dei nostri device al fine di tutelare la sicurezza della collettività e sventare eventuali minacce?
Non è un caso che l’applicazione di messaggistica istantanea del momento sia famosa perché garantisce l’assoluta riservatezza delle conversazioni. Sto parlando ovviamente di Telegram.

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Trump? Più di Hillary tema Zuckerberg

La copertura riservata alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti da parte dei media internazionali e nazionali è, anche quest’anno, significativa.
Dall’avvio della campagna elettorale si susseguono in molti Paesi numerosi speciali dedicati alle tappe del percorso e approfondimenti relativi ai candidati e alle loro quotidiane scaramucce.
In occasione di ogni dibattito la mia timeline su Twitter viene letteralmente invasa dai sagaci commenti di giornalisti e appassionati, che si divertono a irridere i tic e le debolezze dei vari Sanders, Clinton, Cruz, Trump.
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Un entusiasmo senza eguali. Ha molto stupito la decisione di un noto anchorman italiano di mettere in piedi la leggendaria maratona televisiva per seguire in diretta la comunicazione dei risultati. A un utente su Facebook che irrideva la pretesa di essere seguito fino a notte fonda, Enrico Mentana ha così replicato: alla “passionaccia” per la politica non si comanda, sia essa quella del quartiere in cui si vive o della maggiore potenza globale.

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Anche Mattarella diventa sempre più social

Il sorriso sottile che lo contraddistingue, mentre stringe la mano a Barack Obama, Angela Merkel o altri leader stranieri.

Il profilo severo mentre assiste a una commemorazione o ascolta l’inno nazionale. Ma anche la consegna di una coppa, il saluto alla folla, un attimo di riflessione durante un viaggio in treno.
Sono i momenti della vita pubblica del nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che da qualche giorno vengono diffusi tramite l’account ufficiale del Quirinale su Instagram.
Il social media delle immagini si arricchisce di un nome illustre.Mattinst2-1024x689

L’incontro con Kevin York Systrom. Mattarella, per ragioni anagrafiche poco avvezzo all’utilizzo dei social media, ha ricevuto la settimana scorsa il fondatore e amministratore delegato di Instagram, Kevin York Systrom.
Non solo una visita di piacere, visto che il Quirinale intende usare la piattaforma creata da Systrom (400 milioni di utenti nel mondo, 80 milioni di foto e video condivisi quotidianamente, 9 milioni di utenti attivi in Italia) in vista del settantesimo anniversario della Repubblica Italiana.

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Onore a Eni, pioniera del contraddittorio social

Su Rai 3 va in onda Report, come ogni domenica sera. Il tepore di casa ti culla tra le immagini de “La Trattativa”, il servizio dedicato all’affare da 1 miliardo di dollari per l’acquisto della licenza di sfruttamento dei fondali marini del blocco Opl245. Affare concluso da Eni in Nigeria.

Tuttavia quello che succede in contemporanea sui nostri smartphone ha dell’incredibile: Eni risponde punto su punto al servizio della Gabanelli, postando documenti, infografiche, tweet dei manager coinvolti e smentite fondate su ricerche scientifiche.

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La svolta di ENI. Per la prima volta un’azienda riesce attraverso i social media a rispondere a un programma della televisione generalista.
Incredibile e molto innovativo, per l’Italia, il flusso di tweet in sequenza: toccavano molte delle questioni sollevate da Report e dimostravano un’attentissima preparazione da parte dello staff di Eni.

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