Oggi voglio partire dalla preistoria, e dalla psicologia evoluzionista, che ha mostrato come già per i nostri avi le brutte notizie fossero più importanti di quelle buone.
Questo fenomeno si lega al nostro istinto di sopravvivenza: mentre la conoscenza di un fatto positivo poteva non influire in alcun modo sulle loro vite, l’ignoranza rispetto a un fatto drammatico poteva invece compromettere la sopravvivenza.

Riportandoci al contesto economico attuale e prendendo come metro di paragone le organizzazioni complesse, è evidente come qualsiasi notizia negativa o situazione di crisi possa influire sulla vita e le percezioni degli stakeholder. Le persone che risentono maggiormente di queste notizie però sono i dipendenti stessi, poiché ne va della loro stessa reputazione e quindi della loro “adesione” al progetto imprenditoriale di cui fanno parte.
Cruciale la comunicazione con i dipendenti. In questi casi la fonte attraverso cui vengono a conoscenza delle notizie negative è cruciale. Scoprirla dall’esterno, attraverso i media, determina un alto livello di choc e di frustrazione, che va a intaccare il livello di fiducia verso il proprio employer. In poche parole, il capo sapeva ma ha nascosto al suo stesso staff la notizia, senza sentire il bisogno di informarlo.
Una serie di ricerche empiriche mostrano come, nonostante il principio internal before external communication, la maggior parte dei dipendenti scopra le notizie relative a una crisi dai media generalisti.
Nel corso di una indagine su 496 dipendenti all’interno di un’azienda tedesca, condotta dalla rivista Comunication Director, è emerso che 300 di loro hanno scoperto le notizie negative attraverso i mezzi di comunicazione, il 50% dei quali come prima fonte di informazione. Meno di uno su cinque sono stati invece informati attraverso la comunicazione interna.