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Neuromarketing

Per attrarre i talenti non basta il salario

Il lavoro come lo conosciamo oggi verrà presto cambiato in profondità o è già al centro di una rivoluzione che stiamo vivendo senza esserne del tutto consapevoli. Sia che questo accada per il tanto discusso arrivo di robot e altri strumenti che automatizzano sempre più i processi produttivi, sia come risultato di trend economici e sociali legati a cicli storici e al fenomeno della globalizzazione. Se il lavoro cambia, è anche la comunicazione a doversi adeguare in qualche modo al nuovo contesto. Dopotutto, oltre alle nostre attività, comunichiamo innanzitutto il ruolo che ambiamo a ricoprire nel contesto economico-sociale nel quale opera la nostra azienda.

Rete di relazioni e interrelazioni. Andiamo per ordine. La reputazione di un’azienda, che in quanto comunicatori d’impresa siamo chiamati a costruire con un lavoro su più livelli e attraverso diversi canali, non è un monolite statico che deriva dalla somma delle nostre attività, ma piuttosto una rete di relazioni e interazioni che mira a consolidare la fiducia in ciò che facciamo e la credibilità di ciò che diciamo.

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Aziende, raccontate il vostro impegno sociale sul web

Se il responsabile comunicazione di una grande azienda mi dicesse di aver aperto un nuovo sito web corporate gli risponderei dimostrandogli il mio interesse, ma senza esserne troppo stupito. Nel giro di pochi anni è diventato infatti inconcepibile non presidiare il web in modo autorevole, sia curando il costante aggiornamento della pagina ufficiale (e delle sue varie sezioni, a partire da quella dedicata ai clienti e ai media) sia selezionando con cura i social network nei quali si vuole interagire con gli utenti e con gli stakeholder. L’ho ripetuto spesso in questa rubrica: non serve essere dappertutto, ma occorre piuttosto capire come diffondere i nostri contenuti adattandoli alle regole di Facebook, Twitter, LinkedIn o, perché no, anche Telegram.

Sostenibilità fattore chiave. Ho trovato quindi molto stimolante il report stilato da Lundquist sulle attività di comunicazione digitale che riguardano la responsabilità sociale d’impresa. Giunti ormai alla loro settima edizione, i Csr Online Awards sono la dimostrazione di come il ruolo degli operatori economici per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile sia ormai un formidabile fattore di competitività anche nella definizione delle attività di comunicazione, soprattutto digitale.

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Non c’è futuro per le aziende senza cultura della sostenibilità

Le attività di corporate social responsibility sono ormai stabilmente inglobate nel perimetro di numerose aziende italiane e internazionali, tanto che l’idea stessa di “responsabilità” nei confronti dei contesti nei quali si opera sembra quasi un concetto da dare per scontato. Lo troviamo ripetuto nelle presentazioni corporate, nei siti aziendali, nei comunicati stampa, sui canali social. Un recente sondaggio realizzato dal gruppo PagineSì! su un campione di 500 clienti conferma che il 56% delle aziende intervistate sono impegnate in attività legate in qualche modo alla responsabilità sociale.sdg_1

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Con la cultura non si mangia? In azienda può fare la differenza

Il termine “Corporate social responsibility”, spesso abbreviato sbrigativamente in Csr, è entrato ormai stabilmente nel lessico manageriale e dei media. Un’espressione che indica tutte quelle attività che un’azienda mette in campo nell’ottica di creare valore per il contesto sociale in cui opera, sia in termini di iniziative per il pubblico sia di autentici investimenti di medio-lungo termine. Un concetto che può essere però declinato ulteriormente in modo da mettere in evidenza l’impatto sociale di una categoria particolare di investimenti: quelli in ambito culturale. La base su cui fondare una “Corporate cultural responsibility” (Ccr).

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Settore poco sfruttato. Sono stati scritti litri di inchiostro sul tema della cultura come fattore di sviluppo del nostro Paese, dotato di un patrimonio culturale e paesaggistico che non ha eguali a livello globale. Ciononostante, è ancora difficile valutare le risorse che un’azienda decide di destinare alla cultura con gli stessi parametri che utilizziamo normalmente per i fondi impiegati in altre aree, come l’ambiente.

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Pepsi, non si scherza con l’impegno politico e i diritti civili

Una giovane modella impegnata in uno shooting fotografico, le strade invase da manifestanti per la pace, la decisione improvvisa della ragazza di abbandonare il set e di unirsi sorridente ai coetanei. Infine, l’immagine-simbolo: il confronto silenzioso tra i manifestanti e un cordone di poliziotti anti-sommossa, simbolo dell’autorità e dell’ordine costituito. Una contrapposizione ricca di tensione a cui porre fine offrendo a un agente una lattina di Pepsi, per poi esplodere in un momento di gioia liberatoria.

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Qualcosa è andato storto. Gli ingredienti che il colosso americano delle bevande gassate aveva mixato nel nuovo ambiziosissimo spot (quasi un cortometraggio) erano stati selezionati con il chiaro scopo di parlare a un pubblico giovane e disincantato come quello dei Millenial, i nati tra gli Anni 80 e i primi Anni 2000: il fascino della starlette televisiva da reality show (Kendall Jenner, sorellastra di Kim Kardashian), la celebrazione di valori universali come la libertà e l’armonia (il corteo è evidentemente multi-etnico), un approccio ideale che non si limita a promuovere il consumo di un prodotto, ma si dimostra piuttosto in linea con lo spirito dei tempi. Eppure qualcosa è andato storto.

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Comunicare con i dipendenti, la sfida sottovalutata dalle aziende

La comunicazione aziendale è innanzitutto uno strumento per mantenere i propri stakeholder costantemente informati sui risultati conseguiti dalla società e sugli obiettivi che ne guidano l’azione. Tra questi portatori di interesse, i dipendenti tendono spesso a non essere ritenuti prioritari: se l’obiettivo è ingaggiare e farsi conoscere, le attività di comunicazione alla forza lavoro appaiono quasi scontate, se non superflue.

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Non solo un posto di lavoro. Eppure il coinvolgimento dei propri dipendenti ha assunto negli ultimi anni una valenza tutta nuova: non si sceglie un posto di lavoro esclusivamente perché ritenuto redditizio o funzionale a una buona carriera, poiché ci si concentra sempre più anche sul contesto nel quale si svolgerà la propria vita lavorativa. Quali sono i valori alla base della mission aziendale? In che modo una società ha concretizzato l’impegno per la sostenibilità delle proprie attività? Quali sono i criteri per valutare la performance di un dipendente? Inviare un cv a un’azienda può cambiare la vita, per questo è necessario fornire tutte queste informazioni in modo chiaro ed efficace, sia a chi varca la soglia della nostra società per la prima volta sia a chi lo fa da molti anni.

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Comunicare è una questione di fiducia: Edelman ne certifica il calo

Quando comunichiamo, l’efficacia del nostro messaggio è determinata da un insieme di fattori. Uno di questi è sicuramente la fiducia di cui gode presso il ricevente il soggetto che dirama quella comunicazione e che fa leva su un capitale reputazionale costruito nel tempo ma costantemente a rischio. Cerchiamo però di ampliare l’orizzonte e di porci un interrogativo più generale: quali sono gli attori sociali che godono del maggior livello di fiducia? E perché ciò avviene?

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Uno studio su 33mila persone. Ci aiuta l’Edelman Trust Barometer, uno studio annuale condotto in 28 Paesi su oltre 33mila persone, presentato il 6 febbraio alla Camera dei deputati dall’amministratore delegato per l’Italia dell’agenzia Edelman Fiorella Passoni. Il risultato è in rosso anche quest’anno: l’indice si è contratto di altri tre punti (da 50 a 47) e il trend negativo è stato registrato in 21 dei 28 Paesi esaminati dall’agenzia di relazioni pubbliche.

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Essere leader nel 2017: tre sfide per una mission vitale

In questi primi giorni del 2017 è bello riflettere sulle sfide che ci attendono nel nuovo anno, sia in ambito professionale sia nella vita privata. Questo vale soprattutto per chi siede ai vertici di una società: valutare la propria performance, inquadrare i margini di miglioramento e sentire il polso della situazione in azienda sono azioni utili per capire se si sta andando nella giusta direzione. Una domanda provocatoria: che cosa vuol dire essere leader nell’era del digitale? Un tema che, non a caso, un colosso della consulenza come McKinsey ha messo spesso al centro delle sue analisi nel corso del 2016.

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Viralità, integrazione e dialogo: comunicare nel 2016

La fine dell’anno è sempre un momento utile per fare qualche riflessione sui trend più interessanti del proprio settore. Senza la pretesa di essere esaustivo, vorrei chiudere un altro anno di questa rubrica con una breve sintesi di quelli che sono, secondo me, gli elementi di maggior rilievo che hanno contraddistinto il mondo della comunicazione nel 2016.

Attenzione alle bufale. Non è un caso che la parola dell’anno sia “post-verità”. Nell’era del web e delle informazioni a portata di click, sembra sempre più difficile stabilire in quali sedi e grazie a quali strumenti si può risalire alla verità. Il 2016 ha visto il trionfo di narrazioni della società e di posizioni politiche spesso sganciate dall’esigenza di verificare la veridicità di quanto viene affermato nel dibattito e questo, a lungo andare, rischia di creare confusione e smarrimento.

Un esempio tutto italiano è costituito da un articolo con una falsa dichiarazione del neo presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che ha totalizzato un impressionante record di condivisioni: oltre 15 mila in alcune ore. Possibile che tutti questi utenti abbiano dato per buona una frase approssimativa come «Gli italiani smettano di lamentarsi e facciano sacrifici»? Sì, perché forse si è perso quel senso di autorevolezza che dovrebbe distinguere un grande quotidiano da una pagina di fake news. La via di uscita potrebbe passare da un controllo più serrato “a monte” da parte degli stessi mezzi di informazione. In più, bisognerebbe fare di tutto per sensibilizzare maggiormente i nostri lettori a scorrere con un occhio critico la propria timeline su Facebook o Twitter, anche rendendo percepibile la differenza in termini di contenuto e completezza rispetto a una qualsiasi pagina web.

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Un nuovo mecenatismo per risollevare il Paese

Parlare di cultura in Italia significa discutere di uno dei maggiori punti di forza del nostro Paese, l’elemento caratterizzante che lo rende unico.
Fare cultura, dal mio punto di vista, vuol dire soprattutto andare ben oltre una mera ottica di conservazione, focalizzandosi su un continuo sforzo di inventiva e creatività.
È la sfida cruciale della valorizzazione che dovrebbero raccogliere tutti, sia chi opera nel settore sia chi vi si avvicina da appassionato.

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