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Da Netflix a Coca Cola: la personalizzazione è il futuro dei brand

Se in passato un brand poteva apparirci come un mezzo per acquistare rispettabilità sociale o un segno di appartenenza a un determinato gruppo, oggi ci auguriamo che il prodotto risponda innanzitutto alle nostre esigenze individuali. Parafrasando un noto libro dello scrittore Francesco Piccolo, a guidarci nei piccoli e grandi acquisti quotidiani (spesso effettuati con facilità sul nostro smartphone) è il «desiderio di non essere come tutti».

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Il “petrolio” della nostra era: i dati. Una logica alla quale si sono abituati con rapidità i grandi marchi internazionali, anche grazie alle infinite potenzialità del web e al notevole valore informativo che deriva dal “petrolio” della nostra era: i dati. Basta un clic su un sito di e-commerce o una sbirciata in un motore di ricerca per contrassegnarci inevitabilmente come possibili acquirenti di un prodotto.

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Pepsi, non si scherza con l’impegno politico e i diritti civili

Una giovane modella impegnata in uno shooting fotografico, le strade invase da manifestanti per la pace, la decisione improvvisa della ragazza di abbandonare il set e di unirsi sorridente ai coetanei. Infine, l’immagine-simbolo: il confronto silenzioso tra i manifestanti e un cordone di poliziotti anti-sommossa, simbolo dell’autorità e dell’ordine costituito. Una contrapposizione ricca di tensione a cui porre fine offrendo a un agente una lattina di Pepsi, per poi esplodere in un momento di gioia liberatoria.

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Qualcosa è andato storto. Gli ingredienti che il colosso americano delle bevande gassate aveva mixato nel nuovo ambiziosissimo spot (quasi un cortometraggio) erano stati selezionati con il chiaro scopo di parlare a un pubblico giovane e disincantato come quello dei Millenial, i nati tra gli Anni 80 e i primi Anni 2000: il fascino della starlette televisiva da reality show (Kendall Jenner, sorellastra di Kim Kardashian), la celebrazione di valori universali come la libertà e l’armonia (il corteo è evidentemente multi-etnico), un approccio ideale che non si limita a promuovere il consumo di un prodotto, ma si dimostra piuttosto in linea con lo spirito dei tempi. Eppure qualcosa è andato storto.

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Findus e Vileda, perché il boicottaggio M5S è immotivato

Boicottare un brand perché è tra gli sponsor di una trasmissione televisiva sgradita?
Sembra un’affermazione esagerata, ma è esattamente quello che sta accadendo in queste ore a Findus e Vileda.
I due marchi sono infatti oggetto di una pesante campagna di denigrazione sul web, per via del loro inserimento negli spazi pubblicitari del talk show mattutino de La7, L’aria che tira.

Merlino nel mirino del M5S. Il programma condotto da Myrta Merlino è finito nell’occhio del ciclone per via della presunta insistenza della giornalista nel denunciare le carenze dell’amministrazione a Cinque stelle di Roma, guidata dalla sindaca Virginia Raggi.
Una tendenza, denunciano i sostenitori del Movimento, che denoterebbe la chiara volontà della Merlino di mettere in difficoltà la sindaca della Capitale, spesso sulle prime pagine dei quotidiani per via del travagliato processo di composizione della Giunta.

Gli sponsor non c’entrano. Queste le accuse, diffuse tramite il passaparola online e una sistematica azione di “copia e incolla” di post sulle pagine Facebook dei marchi incriminati.
Una domanda sorge spontanea: perché rinunciare a un sofficino o a un prodotto per la pulizia nel nome di una presunta “politicizzazione” del contenitore di uno spazio pubblicitario?
Difficile immaginare che le due aziende abbiano scelto volutamente quella fascia oraria per via delle opinioni espresse durante il popolare talk-show.
Il rapporto tra gli sponsor e i loro testimonial è da sempre al centro di discussioni e decisioni dolorose. Il legame di fiducia tra un brand e la persona che viene scelta per rappresentarlo è infatti delicatissimo ed è costantemente a rischio.

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Onore a Eni, pioniera del contraddittorio social

Su Rai 3 va in onda Report, come ogni domenica sera. Il tepore di casa ti culla tra le immagini de “La Trattativa”, il servizio dedicato all’affare da 1 miliardo di dollari per l’acquisto della licenza di sfruttamento dei fondali marini del blocco Opl245. Affare concluso da Eni in Nigeria.

Tuttavia quello che succede in contemporanea sui nostri smartphone ha dell’incredibile: Eni risponde punto su punto al servizio della Gabanelli, postando documenti, infografiche, tweet dei manager coinvolti e smentite fondate su ricerche scientifiche.

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La svolta di ENI. Per la prima volta un’azienda riesce attraverso i social media a rispondere a un programma della televisione generalista.
Incredibile e molto innovativo, per l’Italia, il flusso di tweet in sequenza: toccavano molte delle questioni sollevate da Report e dimostravano un’attentissima preparazione da parte dello staff di Eni.

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Basta polemiche, il logo Rome & You è bello e utile

di Gianluca Comin per Lettera 43

Sta facendo discutere, sulla stampa on e off line, il nuovo marchio del Comune di Roma.Un dibattito verace, anche se per molti aspetti un po’ da tifosi da stadio. D’altra parte non c’è professione come quella del comunicatore nella quale ognuno si senta il miglior allenatore d’Italia, colui che può formare la squadra migliore e decidere il più efficace gioco in campo.

Purtroppo le semplificazioni finiscono per svilire e relegare i professionisti a un ruolo da comprimari.

Ecco nuovi loghi di Roma, "Spqr" e "Rome & You"

Tante polemiche sul cambio. È accaduto così anche per il restyling (notare l’inglese!) del brand “Roma”, un lavoro  – e lo dichiaro subito – che mi è piaciuto per l’approccio strategico e per la soluzione tecnica.

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Le 10 regole d’oro per fare affari in Russia

Un estratto dell’articolo di Gianluca Comin pubblicato sul numero di Limes del 12 dicembre 2014 “La Russia in guerra”

Non è un luogo comune. Nei negoziati d’affari, anche in quelli più sofisticati ai quali partecipano manager russi che hanno studiato nelle migliori università americane e inglesi, l’interlocutore europeo sente di dover necessariamente rompere un muro di scetticismo per arrivare al desiderato accordo. È come un velo di sospetto, che si traduce in un formalismo capace di demoralizzare l’uomo d’affari che viene dall’Italia.

Occorre seguire un metodo preciso, conoscere a fondo la cultura e le abitudini degli interlocutori e presentarsi al primo incontro con una particolare attenzione al proprio stile, agli abiti e all’immagine in generale. Soprattutto, con puntualità: elemento che per noi italiani è spesso irrilevante, ma che per il russo è un segno di considerazione e di rispetto.

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Ricostruire i codici di comunicazione tra un occidentale, o meglio un italiano, e un russo è tutt’altro che semplice in un paese di grandi contraddizioni diviso fra tradizione e innovazione, tra una comunicazione formale e burocratica e il prepotente avvento dei social network, che in Russia hanno una penetrazione fortissima. A complicare le relazioni vi è poi l’attuale momento di tensione, che rende più forti le differenze e le diffidenze reciproche. 

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Roma, reputazione a picco: Marino segua l’esempio di Monaco

dal blog di Gianluca Comin su Lettera 43

Le città, come gli uomini, hanno una reputazione, che è cosa ben diversa dalla notorietà.
Infatti, se la nuova ondata di malaffare che sta emergendo con le nuove inchieste romane non intacca la conoscenza della Città eterna in giro per il mondo, certamente aggrava il già pesante pregiudizio che turisti, uomini d’affari, studenti e ricercatori hanno verso la Capitale d’Italia.

Roma perde 17 posizioni

Roma è al 23esimo posto nella classifica City RepTrak appena resa nota dall’autorevole Reputation Institute che supporta aziende, persone e governi a monitorare le cause della propria crisi di immagine. Era al sesto posto nel 2011. 

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