La comunicazione politica del governo Conte
Le elezioni politiche del 4 marzo ci appaiono ormai lontane, in questa estate in cui la politica non accenna ad andare in vacanza. Superate le settimane di stallo e le montagne russe vissute dal nostro Paese nei giorni drammatici in cui la presidenza della Repubblica venne trascinata nella spirale di incertezza istituzionale, il governo giallo-verde del premier Giuseppe Conte sembra intenzionato a voler recuperare il ritardo accumulato nell’intensa primavera post-elettorale.
Complice sicuramente la spinta propulsiva dei due giovani vice-presidenti del Consiglio, il leghista Matteo Salvini e il pentastellato Luigi Di Maio, a cui si affiancano con stili molto diversi gli altri ministri.
Ma qual è la cifra comunicativa del primo governo della cosiddetta Terza Repubblica? Sono più gli elementi di continuità o di rottura?
IL PREMIER CONTE, IL RISERBO PRIMA DI TUTTO
Il professore Conte, docente di Diritto sconosciuto all’opinione pubblica prima del suo inaspettato arrivo a Palazzo Chigi, ha adottato uno stile che non tradisce il riserbo che gli è stato finora attribuito da coloro che gli sono più vicini.
Più simile al suo predecessore diretto Paolo Gentiloni che a Matteo Renzi, il presidente del Consiglio si è mosso finora come rappresentante dell’Italia all’estero, ritagliandosi nei grandi vertici internazionali ed europei uno spazio di visibilità che non cerca su altri elementi del dibattito quotidiano.
Il suo profilo Facebook, gestito dallo staff, riporta principalmente le foto del premier ritratto mentre partecipa al combattuto Consiglio europeo del 28 giugno o al successivo vertice Nato. Le sue uscite sui media sono state rarefatte, concentrate principalmente su grandi testate generaliste (Corriere della sera, Stampa, Tg1).
Ha fatto dunque parlare di sé la chiacchierata a tutto campo concessa di recente a Marco Travaglio e pubblicata in prima pagina dal Fatto Quotidiano, una delle poche occasioni in cui il giurista si è concesso maggiormente ai lettori anche raccontando aspetti della sua vita privata, dalle letture preferite allo sport.
DI MAIO E SALVINI, SPECULARI A LIVELLO COMUNICATIVO
Inutile cercare di riassumere in poche battute l’approccio comunicativo adottato dai ministri Salvini e Di Maio, azionisti di maggioranza del governo e leader dei rispettivi partiti.
In entrambi i casi l’uso spregiudicato dei social media si unisce ad un’esibita disponibilità all’incontro con la gente comune e al dialogo con gli elettori. “Bagni di folla”, online e offline, che si accompagnano certo a due stili molto diversi tra loro: sempre istituzionale e focalizzato sugli obiettivi di governo quello di Luigi Di Maio, più imprevedibile e popolare quello di Salvini, anche nella scelta delle parole, dell’abbigliamento e delle location.
Non a caso il secondo finisce più spesso al centro delle polemiche quotidiane per le sue scelte politiche e per la veemenza con cui le difende in prima persona sui social media (in cui i post non appaiono minimamente costruiti).
Speculare anche la scelta di un tema caratterizzante, che consentisse ad entrambi i leader di partito di non essere soffocati dal ruolo ministeriale e di comunicare una rottura secca rispetto al passato: naturale per Salvini, titolare del Viminale, puntare al dossier migranti, mentre il ministro Di Maio, nel suo doppio ruolo di responsabile del Lavoro e dello Sviluppo, si è fatto promotore del decreto Dignità. Segno, come accaduto in passato, che la decretazione d’urgenza consente più facilmente l’utilizzo di etichette sintetiche e connotanti (come non citare il celebre Salva Italia o Sblocca Italia) per alimentare un circuito del consenso sempre più disabituato ai tempi lunghi del parlamentarismo.
Lo stesso orientamento alla sintesi che ha permesso a Salvini di utilizzare in modo martellante il concetto di «chiusura dei porti», percepito da molti (avversari compresi) come un modo sbrigativo, reale o presunto, di tagliare il nodo di Gordio dell’emergenza immigrati.
TONINELLI E CENTINAIO ATTIVISSIMI SUI SOCIAL, MOAVERO E TRIA DISERTANO LA RETE
È però interessante andare ad analizzare le azioni comunicative di altri colleghi di governo. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli, per esempio, ha azzerato con un post Facebook il cda di Ferrovie dello Stato.
Ugualmente attivo sui social il ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio che, già in possesso di un account personale, lo ha inserito rapidamente nella comunicazione digitale del suo ministero utilizzando l’hashtag giocoso ma facile da ricordare “100x100centinaio”.
Ci sono però alcuni ministri che sui social media non hanno mai messo piede (e non sembrano intenzionati a farlo): è il caso del ministro delle Finanze Giovanni Tria e del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Un account fake ben costruito del secondo, docente Luiss ed ex ministro del governo Monti, ha scatenato nei primi giorni di governo il secco intervento della Farnesina, preoccupata dai tweet senza controllo che annunciavano la morte del leader palestinese Abu Mazen. Una precisazione in merito all’assenza di un account Twitter è arrivata puntuale anche dal Mef, che non può permettere l’attribuzione di dichiarazioni non verificate al titolare di via XX Settembre.
Tria, professore dell’Università di Roma Tor Vergata, ha sinora dettato la linea con interviste ai grandi quotidiani (a partire da quella che ha dato il la al suo mandato, sul Corriere della sera) e continua nel solco di un’attenta calibrazione dei messaggi. La stampa tradizionale si conferma, peraltro, formidabile cassa di risonanza per rafforzare la propria visibilità.
Lo sa bene il ministro per la Famiglia e la Disabilità Lorenzo Fontana, che sin dall’esordio dell’esecutivo ha suscitato un ampio dibattito per le sue prese di posizione di carattere conservatore su alcune tematiche.
La “notorietà” non è dunque legata solo alla presenza sul web, ma viene alimentata soprattutto dalla scelta, legittima o meno, di distinguersi per le proprie posizioni su temi polarizzanti.
Account social ufficiali rigorosamente costruiti dallo staff o libero sfogo all’emotività dalla tastiera del proprio smartphone. Uso attento della carta stampata per parlare ad audience selezionate o capacità di fare breccia presso il grande pubblico anche partendo dall’eco mediatica di una singola intervista.
L’ennesima dimostrazione che non esiste un approccio standard alla comunicazione politica e istituzionale, ma piuttosto un giusto mix di tone of voice e canali che va identificato sulla scorta della propria attitudine personale e del ruolo che si ricopre.
Spin doctor fa una pausa. Tornerà a settembre con nuove analisi. Buone vacanze a tutti.