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Grandi Manovre A K Street: Si Cambia Pelle

Grandi manovre a K Street: si cambia pelle

La potente Associazione dei lobbisti americani ha cambiato nome e si avvia a una nuova strategia di posizionamento della professione nella società.

L’attività di rebranding potrebbe apparire normale in un processo di evoluzione del marchio, se non fosse che è proprio la parola ‘Lobby’ ad essere sparita dalla definizione dei professionisti di categoria: da American League of Lobbyists si è passati alla più generica Association for Government Relations Professionals (Agrp).

Un cambio non da poco, considerato che parliamo del Paese che per primo ha riconosciuto il valore di questa professione nella dinamica democratica ed è sempre preso a modello per la naturalezza con cui ci si approccia alle attività di lobbying e ai professionisti della categoria.

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AZIONE DI RIPOSIZIONAMENTO. Un cambio che vuol dire, neanche troppo velatamente, riposizionare l’Associazione verso i propri stakeholder di riferimento, ma soprattutto verso il bacino dei potenziali associati.

In Italia ormai da un decennio si cerca di farechiarezza sulla differenza tra il lobbista di professione e il faccendiere, o sul motivo per il quale la parola lobby non voglia dire semplicemente relazioni e favoritismi personali, mentre gli americani, che di problemi con il mestiere non se ne sono mai fatti troppi, hanno deciso di superarne la definizione stessa.

A guidare la nuova ristrutturazione dell’organizzazione è Jim Hickey, presidente dei lobbisti americani, fautore della campagna che ha portato ad abbandonare definitivamente la parola che inizia con la “L”.

E i dati sembrano dargli ragione, visto che, negli ultimi due anni, l’Associazione grazie alle strategie di naming e riposizionamento ha aumentato esponenzialmente la sua influenza ed esteso la sua portata, sia in termini geografici sia in termini di numero di professionisti rappresentati.

UNA MOSSA CHE HA PORTATO NUOVI MEMBRI. Dopo questa svolta infatti l’Agpr ha aggiunto al suo portafoglio centinaia di nuovi membri, di cui 300 solo nel 2014.

«Per tutto questo tempo l’American League of Lobbyists ha guardato a se stessa come l’associazione che rappresentava i lobbisti di Washington DC e, fino a non molto tempo fa, il modello ha funzionato – e bene – per i membri presenti nella capitale americana», ha dichiarato Hickey dagli uffici di Day & Zimmermann, società d’ingegneria per la difesa dove ricopre il ruolo di vice presidente per i public affairs. «Il vero problema è che tutte le organizzazioni di mercato cambiano e si evolvono o finiscono per diventare irrilevanti», ha aggiunto il lobbista.

Ma questo cambio di direzione non è solo una operazione di marketing. Scaturisce in primo luogo dall’opportunità di ampliare i servizi offerti agli associati, grazie all’organizzazione di tavole rotonde off-the-record con legislatori e membri del Congresso e nuovi corsi di certificazione professionale tra i quali la formazione nell’etica, il fundraising e l’online advocacy.

Che la svolta sia la strada giusta e che sia molto sentita e auspicata dalla base dell’Associazione, lo conferma un’indagine dalla quale è risultato che solo una piccola frazione degli associati si identificava con la definizione di lobbyist, preferendo titoli quali government affairs, grassroots advocate, political fundraiser o public policy professional.

Circa il 15% dei 1.150 membri dell’Associazione inoltre vive al di fuori di Washington DC, e il “mercato” potenziale di nuovi iscritti è ampio e variegato, con circa 11.800 lobbisti registrati all’ordine (dati del Center for Responsive Politics) e 30 mila professionisti della rappresentanza istituzionale che operano a livello federale.

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SI CERCANO NUOVI MERCATI. Ma a guardare gli obiettivi che si è posto Hickey, l’associazione a stelle e strisce punta molto più in alto e non ha alcuna intenzione di fermarsi.

Il presidente vuole aprire l’Associazione a nuove professioni e a nuovi mercati, uscendo dalla cerchia ristretta di K Street per creare un database che colleghi gli esperti di public affairs a tutti i livelli: da quello federale, passando per quello nazionale fino ad arrivare al mercato internazionale. E non passerà molto tempo per iniziare a vedere lo sbarco in Europa delle grandi firme del lobbysmo americano.

Il consenso sulle iniziative di riposizionamento è stato ampio e pressoché unanime, con più dell’80% dei membri che ha apprezzato il cambiamento promosso da Hickey, non senza qualche critica da parte dei “vecchi lobbisti” che hanno accusato l’Agrp di fuggire dalle proprie radici.

E INTANTO L’ITALIA ATTENDE NUOVE REGOLE. Tra questi l’ex presidente dell’Associazione Howard Marlowe, unico membro del consiglio che si è opposto al cambiamento: «Ci sono altre associazioni professionali che rappresentano questi interessi», ha tagliato corto Marlowe, intervista daThe Hill.

«La Scarlet L non ci disturba affatto. Siamo la Scarlet L, ma siamo molto di più (…). In fondo abbiamo un’infinità di cappelli da indossare», ha detto Hickey, aggiungendo che il suo obiettivo è quello di «portare l’Associazione nelle capitali di tutto il mondo».

Roma attende. Ma soprattutto attende una regolamentazione della lobby che dia trasparenza al settore ed elimini i residui di diffidenza che ancora permangono nell’opinione pubblica e nei decision makers.

Twitter @gcomin

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